18 maggio 2010

Viale Roma in Bisignano: ritrovato il cadavere di Utopia .



Viale Roma in Bisignano: ritrovato il cadavere di Utopia[i].


E poi il giorno dopo. E’ sempre il giorno dopo quello più difficile.
Riverso su un lato. Come se dormisse. In un’alba di un giorno qualunque. Sulla panchina più distante del viale. Occhi sbarrati e un filo di bava dalla bocca. Come se dormisse. Un cadavere con un sorriso imbelle in viso e un’erezione spropositata nei calzoni. Il fetore e l’inferno di una morte senza dignità da barattare. Quel cadavere là da mesi, anni, da sempre, sotto gli occhi di tutti, ad implorare l’ultimo gesto di pietà: la sepoltura.
E poi ancora giorno. Un giorno ancora.
Chiamatemi come vi pare, io non vi rispondo. Chiamatemi con il mio nome e cognome, ho imparato a inseguire passo dopo passo la vostra scia. Mi accodo. Quella carcassa insepolta non la scorgo più nemmeno io. Ritornerò al mio anonimato che fa gregge, truppa, che dà l’illusione di felicità. Una felicità da dare a bere. Vomiterò in silenzio. Con occhi ciechi, in silenzio, lungo sentieri già battuti. Scriverò per me stesso, o forse l’ho sempre fatto. Accucciato come un cane che scodinzola dopo le bastonate. No. Non è un commiato cerimonioso, un addio, l’estremo saluto, tutt’altro: é la resa. Incondizionata. “Voi critici, voi personaggi austeri,
 /militanti severi chiedo scusa a vossia
/però non ho mai detto che a canzoni
/si fan rivoluzioni, si possa far poesia. (L’avvelenata, Francesco Guccini)”
Mi arrendo alle vostre azalee e alle vostre feste della mamma. Mi arrendo alle vostre carrozzabili interrotte, fuossi e valluni, varchi senza destinazione. Mi arrendo alle vostre virtù di vecchie bagasce e di virgulti imberbi. Mi arrendo ai vostri telefonini trastullo per orgasmi insensati. Mi arrendo al rafforzamento della vostra coesione sociale del cavolo. Mi arrendo alle vostre statue di Umiltà milionaria e dono di benvenuto. Mi arrendo ai vostri assessori all’(in)cultura e alla vostra sterile istruzione che vi consola senza scuotervi. Mi arrendo al torpedone/ tormentone per Feldkirchen (ma quanti cazzo eravate?), ai cavalli rampanti, ai politici ruspanti, agli asini che volano. Mi arrendo al Palio, alla Quintana, alle bande musicali, alla guerra per bande. Mi arrendo all’anonimato di chi scrive e non ha il coraggio di firmarsi con nome e cognome (esimi commentatori buttate giù la vostra maschera di convenienza!). Mi arrendo alle Unomattina, a RTT, a RLB. Mi arrendo alle vostre canne da sabato sera, ai vostri sballi di topi in gabbia, ai vostri ansiolitici, ai vostri antidepressivi, alle vostre birre, alla voce grossa fra quattro amici. Mi arrendo alla vostra disinvoltura che finge condivisione. Mi arrendo alla vostra Chiesa da Medioevo. Mi arrendo alla vostra squallida pornografia casalinga da handcam. Mi arrendo al vostro miglioramento della viabilità del vostro centro storico del cazzo, alle illuminazioni, alle luminarie, alle piogge milionarie che finiscono sempre in rivoli collaudati. Mi arrendo... alla vostra fottuta democrazia, alla vostra libertà da parata, ai vostri sogni d’oro. Mi arrendo alla casta, ai cast, alla cricca, agli Anemone... agli anemoni, ai papaveri rossi all’ombra dei fossi. Mi arrendo ai vostri luoghi comuni, al mal comune mezzo gaudio, all’istituzione comune e alle vostre amministrazioni senza arte né parte. Mi arrendo al vostro orgoglio di campanile. Mi arrendo al potere che si nasconde mellifluo all’ombra dei soliti noti, dei bisogni reali, di quelli indotti, dei sogni infranti. Mi arrendo ai vostri Padre Pio, San Francesco di Paola, Sant’umile, Beat’Angelo... e al vostro cattolicesimo che si nutre di paure. Mi arrendo al futuro con le pezze al culo. Mi arrendo ai sanitari in politica e all’in(s)anità della politica. Mi arrendo alle feste tricolori, alle feste rosse, alle feste meste gonfaloni in testa. Mi arrendo alla vostra idea di bellezza, alla vostra concretezza, alla vostra monnezza. Mi arrendo alla vostra scuola che si fregia di titoli specchietto per le allodole ma che si svende i titoli che contano. Mi arrendo senza acrimonia. Mi arrendo e non mi pento.
E un giorno dopo l’altro, la mia resa a non crearmi più sgomento. Si fa l’abitudine a tutto. La mia indignazione la dilapiderò in qualche bar. Fanculo Utopia, ideali, morale! Auguri al mondo.

[1] Cliccandovi sopra, le parole non in nero rinviano a qualcos’altro.




Rosario Lombardo

4 commenti:

Giulietta ha detto...

un breve commento leggendo questa Poesia, poiché di poesia... si tratta. Di una bella poesia... Dai forti e belli e buoni (!) sentimenti, e via dicendo.

Ma, prima, vorrei precisare che queste mie quattro parole si rivolgono al testo, in quanto tale... dato che con l'autore (che non nomino, notatelo bene ô popoli delle 7...), avevamo deciso, alla buonora, di fare Bande à part.
Di ignorarci dato che... e che... ci trovavamo atipantici

Allora, ritornando al testo, e dopo avere riascoltato le parole di Peppino Impastato nel video (link rosso), sulla BELLEZZA: ecco, penso che la bellezza non puo' dimettersi.
A meno di volerla fare subito coincidere con la realizzazione immediata dell'Utopia... Ora, siccome volerlo (diciamo) poeticamente (!) mi sembra comunque una gran bella cosa, nonché l'unica nell'immediato (!!)...
mi sembra chiaro che (l'autore che non nomino) me lo dovro' piacevolmente sorbire per chissà quanto ancora!!!
bordel!

voilà

p.s. ha detto...

dimettersi o arrendersi, beninteso

rosario lombardo ha detto...

Siamo tutti politici (e animali)

Siamo tutti politici (e animali):
premesso questo, posso dirti che
odio i politici odiosi: (e ti risparmio anche soltanto un parco abbozzo di
[catalogo
esemplificativo e ragionato): (puoi sceglierti da te cognomi e nomi, e sparare
nel mucchio): (e sceglierti i perché, caso per caso)
ma, per semplificare,
ti aggiungo che, se è vero che, per me (come dico e ridico) è politica tutto,
a questo mondo, non è poi tutto, invece, la politica: (e questo mi definisce,
sempre per me, i politici odiosi, e il mio perché:
amo, così, quella grande
[politica
che è viva nei gesti della vita quotidiana, nelle parole quotidiane (come ciao,
pane, fica, grazie mille): (come quelle che ti trovi graffite dentro i cessi,
spraiate sopra i muri, tra uno slogan e un altro, abbasso, viva):
(e poi,
lo so che non si dice, ma, alla fine, mi sono odiosi e uomini e animali):

(Edoardo Sanguineti, Glosse)

Anonimo ha detto...

Sarebbe interessante avviare una piccola discussione sulla concezione che Edoardo aveva della poesia e del ruolo del poeta (Gruppo '63, etc.). Cosa ne pensate?