30 agosto 2010

GIRO DI BOA


Da quanto tempo ad Acri non si parla delle condizioni dei lavoratori acresi ed oggi anche di altra provenienza geografica? Forse non se n’è mai parlato, un argomento completamente scartato sia dalla politica, sia dalla cultura e sia, soprattutto, dai sindacati. Approfitto di questo giro di boa per riportare uno scritto di Giovanni Duardo, poeta e scrittore di Melicuccà ma residente ad Acri, purtroppo non più fisicamente tra noi dal 2005, il quale ha illustrato in maniera chiara e diretta alcuni aspetti delle condizioni del lavoro al sud e principalmente nella nostra città. Cose sotto gli occhi di tutti ma stranamente invisibili.

ANGELO SPOSATO


STATO DI DIRITTO STATO DI FATTO
di GIOVANNI DUARDO


Tratto da “E siamo ancora qui… (Poesie e altri scritti)” di Giovanni Duardo, Edizioni Officina Grafica, Villa San Giovanni (RC), 2006;
pubblicato anche sul periodico “Confronto” –Acri, n. 5, maggio 2001

La tornata elettorale per le politiche non è da molto che si è conclusa e ancora si sentono gli echi delle dichiarazioni programmatiche e delle promesse lanciate sui pulpiti dai candidati dei vari schieramenti. Il tempo ci dirà se gli impegni verranno mantenuti o si trattava solo di demagogia.
Ma un dato di fatto è possibile rilevare già da adesso ed è la pecca, la lacuna con cui sono incorsi i vari candidati, anche locali, nel presentarsi agli elettori. Il fatto, cioè, che mentre tutti hanno parlato del trito e ritrito problema della disoccupazione e dei rimedi per affrontarlo, nessuno ha fatto menzione di un altro gravoso fardello che pesa sugli italiani e specialmente su quelli del Meridione.
Si tratta della maloccupazione (termine liberamente ricavato per analogia in altri settori).
E’ un fenomeno latente, diffuso e quindi ormai istituzionalizzato. E’ la violazione sistematica di un articolo costituzionale e precisamente dell’art. 36 che sancisce il diritto del lavoratore “ad una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso tale da assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa”. E non c’è bisogno di uscire dai confini municipali per constatare questa realtà.
Ad Acri non c’è alcun lavoratore dipendente che percepisca una retribuzione regolare, una paga cioè qual è quella stabilita nelle contrattazioni collettive nazionali e sancita con legge.
Così, alla piaga della disoccupazione e del lavoro nero si aggiunge quella del lavoro sottopagato, cioè del lavoro retribuito con una paga da sussistenza.
La situazione si presenta così: lavoratori assunti regolarmente, con un regolare contratto, ma le cui norme non vengono mai applicate; lavoratori, cioè, che percepiscono uno stipendio reale di 600-800 mila lire, un milione al massimo, a fronte di un contratto che ne stabilisce ad es. un milione e mezzo; lavoratori che non sanno cosa sia “lo straordinario” (perché quello che svolgono non gli viene mai retribuito); lavoratori la cui tredicesima è costituita da un panettone o una bottiglia di spumante, e le cui ferie sono lasciate alla discrezionale mercè del datore di lavoro.
Non c’è bisogno di essere degli economisti e di scomodare Marx col suo concetto di plusvalore per capire che si tratta di sfruttamento bello e buono. Ma di tutto questo nessuno parla, come se si trattasse di uno stato di fatto ineluttabile, proprio della nostra economia.
I sindacati non fanno nulla, nulla fa l’ispettore del lavoro. Nessuna indagine, nessuna denuncia. Gli stessi lavoratori sono riluttanti ad effettuare qualsiasi protesta, qualsiasi vertenza sindacale per la paura di eventuali ritorsioni che porterebbero alla perdita del posto di lavoro. Anzi, opinione diffusa tra costoro è che… “500-800 mila lire sono meglio di niente… Che ci vuoi fare”. In pratica vale il detto tipicamente calabrese: -Vasciati juncu ch’a hjumara passa- Purtroppo, si crea in questo modo una sorta di circolo vizioso. Poiché l’apatica accettazione, la reticenza, la rassegnazione dei lavoratori di fronte allo stato di fatto crea e continua ad ingrossare quello che Marx chiamava “l’esercito industriale di riserva”, la massa di tutti coloro su cui gli imprenditori possono contare per perpetuare il loro sfruttamento. In parole povere il datore di lavoro dice: -Non ti sta bene la paga che ti do? Te ne puoi anche andare. Sai quanti ne trovo disposti a lavorare anche per meno?
L’argomento che porta a giustificazione del suo comportamento –e che purtroppo è diventata opinione accettata quasi da tutti- è che la vita, qui da noi, è meno cara (rispetto ad es. al Nord) e che quindi si può benissimo vivere anche con un basso salario.
Ma questo è un discorso puerile ed ipocrita ed è peraltro relativo. Perché, dire che la vita è meno cara, significa semplicemente che la merce che si acquista, la si paga di meno. Ma colui che la vende, la può vendere di meno perché, a sua volta, l’ha pagata di meno. Il punto non è questo. Il punto è che la tanto decantata solidarietà del popolo calabrese va farsi benedire perché qui, come altrove e forse più che altrove, il più furbo, il più capace o il più fortunato sfrutta il poveraccio spingendolo verso una concorrenziale lotta con i suoi pari per uno stipendio da fame. Il punto è che anni e anni di battaglie per i diritti dei lavoratori, di lotte sindacali, di occupazioni di terre e di fabbriche, di morti, anche, vanno a farsi benedire quando lo Stato di diritto non esiste e le conquiste rimangono solo sulla carta. Il punto, infine, è che non è giusto che ci si arricchisca sulle spalle degli altri, non è giusto che sia così, occorre alzare la testa, far valere i propri diritti, avere dignità. Solo così avrà senso andare a votare, solo così si potrà dare la possibilità ad ogni uomo, ad ogni cittadino di dire, parafrasando un motto storico: “l’Etat c’est moi”.

1 commento:

cecio ha detto...

Ritengo che vada fatta una seria riflessione su quanto scriveva Giovanni Duardo,la situazione e grave,mi rivolgo ai giovani calabresi di esprimersi alle imminenti elezioni come fiume in piena,che spazza via secoli di sopprusi e ingiustizie,favoritismi e malgoverno,da questa nostra amata terra,ed emergano forze sane,oneste,affamati della nostra culturae grande civiltà.