1 settembre 2008

TUTTI IN LISTA 2

ELEZIONI COMUNALI DI ACRI 2010
CERCHIAMO IL NOSTRO CANDIDATO A SINDACO
PRESTO SU QUESTO BLOG
IL BANDO DI CONCORSO...
LA REDAZIONE

29 commenti:

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ninnillo ha detto...

Ritornando al Post della redazione... Forse ho trovato qualcosa di interessante riguardo alle "Prove del Concorso".
Vediamo un po':
Diogene il Cinico cercava un uomo, l'Uomo... come ricordavo nella recente discussione con Vincenzo, a proposito degli incendi (discussione ancora aperta).
Di giorno, con una lanterna. Il che, per noi sarebbe come (almeno per quanto ci concerne adesso) "cercare il sindaco"! (Sorvoliamo se siamo o no contro la Delega eccetera. Restiamo al Concorso.) Anche se con una pila elettrica... Considerando che il prezzo del petrolio, e anche quello dell'olio...
Il Sindaco ideale... tutto sommato...
Ora, ci sembra che questo grande filosofo era, malgrado tutto, a modo suo certo, assai "platonico": e “quindi”, pure ma non solo per questo, un gran moralista.
Abbiamo l'impressione, aggiungo, che "platonici" lo siamo un po' tutti. Mondo delle Idee, strettamente platoniche, a parte. Per dire che ci possono essere dei “platonismi” anche quando si privilegia la Materia. Pensiamo a certi grandi materialisti...
Cercava un Uomo "con la maiuscola" dunque. Eppure, di uomini, in carne e ossa, ne incontrava di continuo, nel mondo che percorreva. La luce del giorno, secondo il nostro, doveva fare illusione. Quindi, la vera luce, doveva provenire dalla "lanterna" filosofica, socratica potremmo dire...
La maiuscola ad Uomo, come si sa, è stata criticata (questa ed altre parole: “Umanità” ad esempio) da Max Stirner in quanto astrazioni vuote, illusioni... - e da altri. Ma, ne riparleremo per vedere se pure questi filosofi del Diciannovesimo sfuggono, realmente, completamente, ad un certo “platonismo”. Se le idealità... scacciate dalla porta, non rientrano "dalle finestre".
Per dire che a volte si puo' pensare allo "stesso" modo... Idealisticamente... (qui, le cose si complicano: cosa intendere, esattamente, per "idealisticamente"?). Malgrado le grandi differenze, malgrado i capovolgimenti...
Diogene è uno dei nostri filosofi preferiti dicevo. Ricordiamoci del suo incontro con Alessandro...
Si racconta, tra tante altre meravigliose sue "avventure", che un giorno si precipito' in casa di Platone (casa ricca eccetera) e, coi piedi pieni di fango si mise a imbrattargli il letto! Poi, dopo essere uscito per ri-sporcarseli accuratamente (pioveva), di nuovo ricominciò a metterne dappertutto su quel “povero” letto, non platonico ma talmente concreto... (altro che la sua botte), dicendo più o meno: "Metto sotto i piedi l'orgoglio di Platone!" Al che, questo grandissimo filosofo (che ci piaccia o no) dopo averlo lasciato fare senza batter ciglio, senza scomporsi, replicò (se ben ricordo): "Con orgoglio uguale!" (Chi, subendo cose simili, in casa sua... potrebbe reagire in questo modo?) Ricordiamoci, ancora, del famoso pollo che Diogene scaglio' nell'Accademia, in piena discussione... gridando (per farsi ben sentire): "Ecco l'uomo secondo Platone!"
Altri bei “dialoghi”, tutt’altro che socratici... li ha con altri filosofi. Ad esempio, con Aristippo (il Cirenaico), a proposito delle rape che il nostro lavava... Con repliche diverse, è vero, a secondo della fonte, degli scrittori che la riportano.
Ma, ritorniamo alla Ricerca che interessa la Redazione dei navigatori. Potremmo anche fare cosi, "alla greca antica": di ognuna delle Dieci Categorie di Aristotele (le affermazioni, i predicati che si possono tenere su ogni cosa presente nel mondo, nell’Essere, eccetera) se ne potrebbe trarre una Gran Bella Prova (una GBP), per il “Concorso a Sindaco” (il CAS 2010).
E quindi, la Prova della Sostanza, della Quantità, della Qualità, della Relazione, della Posizione, del Luogo, del Tempo, dell'Azione...

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J.xck ha detto...
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J.xck ha detto...
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Vincenzo ha detto...

j.xck invitandoci a prendere parola sui maggiori filosofi francesi del ‘900, cosa molto ardua e complessa, conclude la sua nota con: “In fondo, mi piacerebbe “dimostrare” (olalà) che si puo’ avere uno spirito per certi versi libertario... senza necessariamente essere d’accordo con certe “verità”. Con certe spiegazioni definitive, totalizzanti: del mondo ridotto a Ingranaggio... concepito, soprattutto, come Sistema politico a cui TUTTO puo' essere ricondotto...”. E su questo pensiero sono molto d’accordo. 

Lo strutturalismo, nato in ambito antropologico ma molto in voga negli anni ’60 e ’70, effettivamente presenta la società, o la lingua, o la cultura, o il potere, come totalizzanti dove non c’è più spazio per la libertà, quindi per il soggetto. Barthes diceva che la lingua è fascista: non sei tu che la parli, tanto meno se tu che la crei, al massimo sei parlato da questa. Ma poi, in fondo, anche lui lascia uno spiraglio ad un certo brusio che la lingua, e la letteratura, fanno. Questo brusio è fuori, è altro dalla struttura, ed è prodotto da soggetti. Quasi tutti gli autori che hai citato si distaccano dallo strutturalismo, in qualche modo lo oltrepassano. Il problema però rimane: noi siamo così perché siamo il prodotto di una “storia”, di una “cultura” ecc. (di una “struttura”), oppure no, e quanto determiniamo noi singolarmente o collettivamente su queste “strutture”? Io potrei essere sicuro che da quanto ho iniziato a parlare e a scrivere la lingua italiana è cambiata, ma gli altri vedono solo degli errori grammaticali e ortografici.
Lo stesso Stirner, l’autore preferito dagli individualisti, parla dell’unico, cioè del proprio io, tale perché ha delle “proprietà”. Dopo aver demolito ogni possibile metafisica dell’Uomo, compreso quello “libero” del soggetto razionale, descrive le proprietà dell’unico che sono essenzialmente le relazioni che questo ha con il mondo. È a partire da questo che propone l’associazione degli egoisti, da utilizzare per strappare, per conquistarsi, la libertà necessaria per essere se stessi. Ma è una lotta, una rivolta.
Foucault è quello che più degli altri descrive il potere come codice (potremmo dire come fai tu che riduce il mondo ad ingranaggio), ma se ci pensi bene con la sua “archeologia” cerca solo di demistificare un’immagine ancora più inquietante del potere, quella del libero arbitrio di soggetti malvagi, cinici, a cui però tutti si sottomettono, tutti accettano di servire “volontariamente”. Come è possibile ciò? Se lo chiedeva già un amico di Montaigne, Étienne de La Boétie, che era convinto che l’uomo una volta libero e felice è stato oggetto di una sventura, che lo ha fatto passare dalla libertà alla schiavitù.
Foucault è colui che indaga su queste cose, sui meccanismi che creano il potere. Agamben si inserisce in questi studi e ritiene di essere continuatore dell’archeologia di Foucault.
Io non conosco le critiche che ora sono mosse, a Parigi, a questi pensatori, e non so cosa dirti, la loro validità non è nella rivelazione della verità. Poi io penso che non esiste una verità rivelata. Qualunque autore può diventare uno strumento per le mie ricerche, io non ne sposo nessuno. Certo non mi piace perdere tempo dietro i costruttori di ideologie e di religioni.
Per passare ad altro, chiamo in campo Ninnillo:
Presentare Diogene come il filosofo che cercava l’Uomo, come “malgrado tutto, a modo suo certo, assai "platonico"” mi sembra riduttivo o addirittura mistificante.
Delle sue opere non è rimasto quasi niente, lo si conosce per gli aneddoti su di lui e soprattutto per quanto il suo biografo Diogene Laerzio ci racconta e riporta delle sue opere. Diogene è stato il promotore di una sorte di “filosofia pratica”, di una “filosofia della vita”, fatta di irrisioni, sfrontatezza, giochi di parole, pantomime, provocazioni, con la quale ha voluto denunciare i tentativi (si iniziavano a formare allora le scuole filosofiche, intese anche come recupero e riduzione della sapienza antica a teorie) di instaurazione di una vita assoggettata alla seriosità filosofica, alle arroganti concettualità che le nascenti teorie scolastiche volevano elevare a forma di vita. È, quindi, soprattutto contro il platonismo che le sue provocazioni si rivolgono.
L’aneddoto sulla sua ennesima provocazione a Platone, quella da te citata, di quanto si presenta all’Accademia con un pollo spennacchiato (anzi abbritteato) in mano dicendo “ecco l’uomo di Platone”, voleva essere, era, una critica al concetto astratto di Uomo che Platone aveva introdotto, tagliando da esso ogni corporeità, descritto da qualche parte come “un animale bipede implume”. Questo concetto astratto di Uomo non lo si poteva trovare neanche girando con la lanterna accesa di giorno. Diogene, invece, proponeva tutta la sua corporalità alla base della sua filosofia. Viveva sotto un portico, dove ci faceva proprio tutto, sotto lo sguardo di chiunque, da discutere e fare scuola a mangiare e a masturbarsi (“ah! Se bastasse strofinarsi la pancia per far passare la fame”). Diciamo che era un po’ “fricchettone”, in un contesto sociale, culturale e politico (Atene in quel periodo) molto vivace; o meglio, diciamo che era un rappresentante, uno dei fondatori, di quella lumpenintellighenzia che si sviluppò per tutto il periodo moderno, fino ad oggi, e che è sempre stata oggetto di denigrazione, di repressione, di mistificazione, proprio perché è la “coscienza critica” della modernità e che non ha mai mediato trovato compromessi con il potere. Quando Alessandro Magno, incuriosito dalla fama di questo saggio, volle andare a trovarlo per discutere con lui, lo trovo disteso a prendere il sole, e Diogene gli disse soltanto: “spostati dal sole”.
L’etimologia di cinismo Ë comunemente fatta risalire al nome del portico dove tenevano scuola, ma probabilmente è legata alla parola cane (Kùôn) (Diogene si definiva un cane — di quelli che quando lo vogliono possono mordere —, sulla sua tomba c’era la statua di un cane) e sta ad indicare proprio l’animalità dell’uomo. Il cinismo antico ha rappresentato la prima critica di quella nascente “ragione soggettiva” proponendo alla stessa ragione di imparare ad ascoltare dentro di sé la voce di quella “oggettiva”. Diogene pone “la natura contro la legge”, identificando in essa una forza maggiore delle leggi e delle convenzioni umane.
Il termine cinismo, grazie anche alle mistificazioni, è diventato sinonimo di insensibilità, spregiudicatezza, indifferenza verso gli altri nel perseguire i soli propri interessi. Giustamente Sloterdijk, nel suo bel libro “La critica della ragione cinica”, distingue il cinismo antico da quello moderno, chiamando il primo Kinismo.

ninnillo ha detto...

Caro Vincenzo,

vedo, con gran piacere, che il dialogo si arricchisce e con attenzione reciproca.
Ancorché, da parte mia devo metterci più attenzione.
Prendiamo Diogene di Sinope, il Cinico, di cui precisi la "qualifica" ricordandoci anche il libro di Peter Sloterdijk.
Dicendomi che lo mistifico, mi sono accorto, effettivamente, che gli ho fatto dire qualcosa che non gli appartiene.
Là dove scrivevo "cercava l'Uomo", a proposito di un certo suo "platonismo" (dovro' precisare cosa intendo per "platonismo").
Avrei dovuto mettere "Uomo"! Altrimenti si pensa subito a quello astratto. Platonico. Eccetera, con la "demolizione" della metafisica INTESA come astrazione operata anche da Stirner... (evidentemente, non è il solo modo di intenderla: e pure su questo mi piacerebbe ritornare.)
Questa mia distrazione è ancora più rafforzata dal fatto che ricordo, più sotto nel commento, l'episodio del pollo "abbritteatu".
Confusione, quindi, tra l'Uomo, platonico, e l'"Uomo" Diogene.
Certo, nella nostra discussione ci sono tante di quelle cose che andrebbero... Eccetera. Come tu stesso dici. Se, da parte mia, ci vado "allegramente", non ci sta!
Queste cose sono importanti. E stiamo parlando di libertà...
Eravamo partiti dallo stato d'emergenza. Tu, ne ricordi alcuni di recenti. E vediamo bene come si aprono altre vie nella discussione, che, apparentemente, ci allontano da quanto tu ci descrivevi nell'articolo.
Il fatt'è, tra l'altro, che intervengono i filosofi! (Agamben: e quindi si comincia a tirare fili da matasse o quanto grosse!)
Il tuo mettere l'accento su posizione libertarie intese, evidentemente, come altrettante resistenze al Potere (alle oppressioni e al diniego della libertà umana, per andare al sodo!), mi trova dalla tua parte in quanto alla loro infinita (!) importanza.
Restano i miei dubbi, a proposito di "1000 cose", comprese le mie.
Come con questa storia della "libertà" rispetto alle "strutture".
Tu, sopra, dai la sua importanza a certi bruscii (malgrado..., dunque). Il bello è che questi spazi "al di fuori" piacciono, moltissimo, pure a me. Ma, non riesco a vederne a partire da certa filosofia. Fermo restando che gli stessi pensatori (tra cui Foucault), che si sia d'accordo con loro più o meno, hanno, insomma, tentato di allargarli questi spazi/ostacoli, contro il Soggetto=Potere...
Facciamo cosi magari: possiamo ritornarci su questi filosofi. Ma, prendendo più tempo. Lo dico a me beninteso.
Considera questo commento come una "risposta", in attesa di qualcosa di consistente.
Una domanda a proposito dello stato d'urgenza (sto leggendomi varie cose: compresi alcuni rapporti); domanda che parte da certi miei pensieri pessimisti (!). Ti voglio chiedere: se dovesse succedere che, coi tempi che corrono, un attentato particolarmente grave, ad esempio con nuove armi... accadesse in uno dei nostri stati democratici... come reagirebbe la gente?
Abbiamo già visto cosa è successo negli Stati Uniti. Varie misure d'eccezione, passarono come "una lettera alla posta", come si dice qui in Francia.
Vedi cosa ti sto dicendo. Mi domando, insomma, quanti resisterebbero a certe tentazioni/ capitolazioni...
Chi si preoccuperebbe dei diritti che, bene o male, per il momento ci sono?
La mia risposta: tantissimi, sicuramente la larga maggioranza, se proprio non le invocherebbe, certe leggi liberticide, se ne accomoderebbe. (Gli uomini si adattano... anche se, fortunatamente, non sempre.)
Per paura, eccetera. Sicuramente, assisteremmo a tante metamorfosi politiche. E di pensiero... più in generale. Non più come in tempo di "pace", ma nella dismisura...
Questo, senza dimenticare gli stati d'emergenza di cui parli nell'articolo e nei commenti.
Cosa ne pensi?
(Cosa potremmo fare se... eccetera.)
A presto,
Ninnillo.

Anonimo ha detto...

Caro Ninnillo
Il terrorismo è oggi la madre di tutte le emergenze. Sotto certi aspetti lo è sempre stato. Ma oggi è grazie a questo che si fanno anche le guerre, che sono chiamate azioni di pace: si occupano nazioni, terrorizzando la popolazione con bombardamenti, rastrellamenti, coprifuochi ecc., per imporre, come in tutte le guerre che nel passato erano fatte e “dichiarate” con questo nome, un dominio.
Dopo l’attentato alle Torri di New York fiorirono grandi analisi sull’evento. Perfino Jean Baudrillard, che negli anni ’70 diceva che si “doveva “dimenticare Foacault”, poiché il potere era già imploso, pubblica sulle prime pagine dei più importanti giornali del mondo un articolo dove analizza la strategia terroristica, come forma di potere, di strumento del potere (anche se legato alla sua “fascinazione”).
In Italia lo stragismo come strumento politico è da trenta anni che esiste come fenomeno conosciuto e studiato, ma in realtà da molti anni prima era usato, e le analisi su questo fenomeno possono riempire una biblioteca di media dimensione. Solo gli atti processuali, dei vari gradi fino alla Cassazione, relativi alla strage alla Banca dell’Agricoltura a Milano nel 1969, (la Strage Di Stato!), riempiono un camion. Anche in questi atti c’è una parte della storia di questa strategia politica (lo stragismo, o secondo altri, la “strategia della tensione”): dalla fine degli anni ’60 alcuni settori dello Stato, i servizi segreti (Sid), ai vertici militari e alcuni esponenti politici, pianificarono l’uso di giovani di estrema destra per fermare non solo e non tanto l’avanzata elettorale della sinistra, ma ancor di più quella rivoluzione strisciante che stava prendendo piede in tutti i settori della società, e che allora sembrava inarrestabile. Il primo obiettivo era preparare la strada a un colpo di stato, sull’esempio del golpe del 1967 in Grecia. Ma poi altre forze più abili usarono la stessa strategia per mantenere lo status quo: l’importante era soprattutto spaventare gli elettori moderati che votavano a sinistra, e poter promulgare “leggi speciali”, (lo stato d’emergenza) con le quali praticare una repressione su vasta scala, “sospendendo” i cosiddetti “diritti formali del regime democratico”. E l’effetto politico veniva amplificato incolpando l’estrema sinistra e in particolare gli anarchici di terrorismo. Questa è una verità accertata, non solo dalla tantissima documentazione prodotta dalla “contro-informazione” di quegli anni, ma anche nei processi di Catanzaro e Bari.
Io più che fare le domande su che cosa succederebbe in caso di nuovi attendati terroristici e su come reagirebbe la gente, mi chiederei che cos’è il terrorismo. Ma anche su questa domanda non c’è molto di nuovo da dire. Testi e documentazione, in cui si analizza tutta la stagione italiana dello stragismo e del terrorismo fino alle Brigate Rosse, ce ne sono tanti, e con diverse ipostazioni e interpretazioni del fenomeno.
Per rispondere alla domanda cos’è il terrorismo, bisogna innanzi tutto chiedersi chi sono quelli che si vogliono terrorizzare e perché; poi che cos’è la paura, o il panico, che il terrorismo provoca e di quali risorse mediatiche ha bisogno per produrre tali effetti, ecc.. Secondo questi elementi, si può dividere il terrorismo in almeno due possibili strategie: il terrorismo diretto e quello indiretto. Fra il primo si possono menzionare gli attentati degli anarchici contro i Re e i potenti, che avevano come obbiettivo di terrorizzare appunto i potenti, affinché cedessero su specifiche concessioni, così come quello esercitato anche da forme di sindacalismo rivoluzionario a sostegno di rivendicazioni, anche questo era mirato, si terrorizzavano particolari settori sociali e/o personaggi del potere affinché cedessero alle rivendicazioni. È inscrivibile all’interno del risentimento, oppure all’interno di quelle forme di lotta o di ribellione basate sull’azione esemplare: quelle che vogliono dare un’indicazione per la ribellione. È una forzatura chiamare tutto ciò terrorismo, ma è quello che ad arte hanno fatto per denigrare la ribellione.
L’altra forma, quella ormai divenuta comune e la sola che possa veramente chiamarsi terrorismo, è quella indiretta, che terrorizza chiunque, e non ha fini diretti specificamente dichiarati. Serve, appunto, a terrorizzare indistintamente chiunque, come avviene per lo stragismo, ma anche per la repressione indiscriminata (anche questa terrorizza), serve a far nascere il bisogno di maggiore protezione sociale, e quindi non può che essere strettamente connesso con le politiche statali, con la creazione di una emergenza.
Il terrorismo, cioè, si differenza nettamente dalle lotte rivoluzionarie, o comunque violenti. Chi avrebbe potuto leggere l’attentato a New York come un attacco rivoluzionario contro la super potenza mondiale (hanno colpito il Pentagono e le Due Torri, sede delle più grandi multinazionali che affamano e inquinano il mondo). Chiunque ha visto subito che dietro ai kamikaze, dietro la strage di migliaia di persone, non c’era nessun progetto rivoluzionario, né politico. C’era un’unica logica ed un unico fine: terrorizzare, creare panico, legittimare a livello internazionale la nuova strategia del “nomos della terra” (della sua occupazione e spartizione).
Il modo in cui reagisce la gente di fronte a tali eventi è strettamente connesso a tale strategia.

ninnillo ha detto...
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ninnillo ha detto...

Caro Vincenzo,

consideriamo la tua ultima frase: "Il modo in cui reagisce la gente di fronte a tali eventi è strettamente connesso a tale strategia."
Se il modo in cui la gente, noi uomini quindi, reagiamo... è strettamente connesso a tale strategia (quando si tratta di questa che tu dici), vuol dire che la nostra libertà di scelta va a farsi benedire...
Vuol dire che siamo in pieno determinismo... Per spiegarmi, ho ritrovato un mio pensierino dove avevo tentato di concentrare tutto questo e che va, mi sembra, all'essenziale riguardo anche alle nostre servitudini volontarie o involontarie... (senza far intervenire le "strutture" ed altri sistemi di potere... in particolare). Eccolo (ti ci farai un sorriso divertito col fatto che "mi cito"...):

Abbiamo queste due possibilità: credere, pensarci liberi, oppure "liberi", di scegliere... Ora, in entrambi i casi restiamo potenzialmente capaci del meglio e del peggio. Nel primo caso, il passaggio all’atto dipenderebbe dalla libertà stessa, sottratta alla causalità, dal nostro libero arbitrio, poiché è di questo che si tratta, nel fondo... - nel secondo, da una assoluta causalità: dall’incrocio di infiniti determinismi. Certo, si è tentato di sfuggire a questa opposizione, sostenendo posizioni più o meno intermedie ma che vi restano, nondimeno, "incastrate"...
Ci sembra che gli uomini, tutti gli uomini, siamo capaci, liberamente o "liberamente", del peggio; di ciò che è già stato commesso o lo sarà... Se non ne abbiamo coscienza (che questa sia libera, o "libera": ad esempio nel modo in cui la concepisce Spinoza), nulla possiamo comprendere alla radicale tragicità delle nostre esistenze. Né, dunque, a tante cose umane, tra cui i tabù, le leggi, la varietà dei sistemi politici, la morale, ed altro (per buone o cattive che possano considerarsi e tenendo conto della loro diversità a secondo dei periodi) che questa situazione esistenziale, sia pure apparentemente paradossale ma comunque ineliminabile, riproduce costantemente... Pensiamo alle ideologie, a qualsiasi ideologia: anche se basate sulle migliori intenzioni, senza un forte riduttivismo/riduzionismo del pensiero - rispetto a quanto stiamo dicendo, ed alle sue implicazioni, d'ogni sorta - sarebbero impossibili da concepirsi...

Caro Vincenzo, cosa ne penso? (!) Vedi, fa da molto tempo che rifletto su queste cose, sulla libertà di scelta. Ora, se mi posso permettere di personalizzare, ci rifletto da quando avevo quattordici anni (14!). Dal momento in cui, una sera tardi, nella piazzetta della nostra Padia, "filosofeggiando" come si fa da ragazzi, guardando delle nuvolette passare lentamente davanti alla luna, alle stelle... mi posi per la prima volta questo problema. Fu come una specie di rottura del senso abituale... della "segnaletica". Rimanevo là, come stordito da quanto si era fatto strada inaspettatamente nei miei soliti pensierini beati... Mi sono ritrovato quasi KO! Senza sapere chi mi aveva dato il diretto...
Ho, poi, cominciato a leggere di tutto, su questo dilemma che all'inizio credevo, molto ingenuamente, mi "appartenesse"...
Risultato? Ebbene, mi ritrovo senza alcuna risposta decisiva!
Siamo liberi, o "liberi"?
(Chi è veramente colpevole e come?)
Politica a parte beninteso: è chiaro che uno che è messo in prigione, perlomeno fisicamente, è tutt'altro che libero!
Credo che tu vedi benissimo di cosa si tratta; e, come dico sopra, le IMPLICAZIONI... anche rispetto a quanto stiamo dicendo da qualche giorno.
Ad esempio, nei due casi (libertà e "libertà"), il modo stesso di concepire eventuali strutture, di potere o altre, ne dipende...
Detto questo, non sto volendo giustificare, assolutamente, nessun tipo di umana ingiustizia...
Tu come le vedi tutte queste cose?
Se vuoi, soprattutto rispetto a quanto dico sulle ideologie. Ma non solo... Potresti dircene qualcosa, restando convinto che gli stati d'eccezione non mi garbano affatto quando dovessero corrispondere a quanto hai scritto.
A presto spero.
Ninnillo