27 agosto 2008

ACRINATURA


Acri: la periferia in fiamme, otto chilometri di bosco bruciati. Così i titoli della solita cronaca estiva locale, seguite dalle solite domande: ma chi è stato, perché bruciano una risorsa così preziosa per il nostro territorio?
Effettivamente il territorio di Acri potrebbe presentarsi come il comune dei parchi e dei boschi, ma questa risorsa anziché essere valorizzata, anche per un possibile turismo (e basterebbe poco, non ci servono le “opere”, le superstrade, quegli obbrobri di manufatti abbandonati e diroccati prima di essere inaugurati, ecc.: basterebbe farli conoscere, la loro fruizione deve essere “discreta”, il bosco attrae per la sua natura “incontaminata” e spesso impenetrabile), viene ignorata o addirittura sperperata per i soliti interessi o per una cultura “consumistica”, abbastanza generalizzata.
È ora di andare oltre le solite domande retoriche sul perché incendiano i boschi: le risposte possibili sono comunque tutte circoscrivibile nei miseri interessi di qualcuno. Bisogna chiedersi qual è il nostro rapporto con il territorio e in generale con la natura. Forse è la mancanza di una politica “ambientalista”, che sappia “proteggere” questa risorsa, che manca ad Acri?
Chiediamoci, allora, che cosa producono le politiche “ambientaliste”, quelle basate sulla “protezione” della natura, sulle “emergenze ambientali”. (Si crea sempre una “emergenza” quando si deve far diventare norma l’eccezionalità — lo Stato d’eccezione —, cioè quando i mezzi diventano fini o quando, come dice Agamben, non ci sono più i fini ma solo mezzi potenziati). “L’emergenza ambientale” è divenuta l’ideologia oltre che dei “Verdi” anche degli amministratori degli Stati; si riferisce al depuramento della “natura”, ma riguarda una divisione spaziale, geografica, della terra che regolerà l’accesso gerarchizzato alla merce-natura. Parchi, aree e zone protetti, affiancati da una parte ad oasi sotto cupole con aria condizionata, e dall’altra alle megalopoli e alle metropoli super affollate e surriscaldate, con l’aria irrespirabile ma piene di polizia. Dal trattato di Kioto alle miriadi di leggi e decreti (appunto: “l’emergenza”) l’“emergenza ambientale” è divenuta, sotto certi aspetti, l’ideologia che sta sotto (ma ne costituisce solo una parte) il nuovo nomos della terra, alla sua occupazione da parte del dominio.
Per capire come sia stato possibile che il movimento di lotta ecologista si sia man mano trasformato in una ideologia ambientalista a servizio della dominazione della terra bisogna partire da lontano. Bisogna tirare in ballo il formarsi della cultura moderna, del pensiero moderno: là dove avviene la divisione fra “natura” e uomo (o società). Nel pensiero pre-moderno, arcaico o “primitivo”, la natura e la società si intrecciano talmente che non si distinguono le relazioni degli uomini con esse: c’è un unico principio che le governa. Al di là delle varie interpretazioni di questo principio, secondo alcuni quello del “contrappasso”, secondo altri quello dello scambio, o dello scambio simbolico, la natura è un’interpretazione dell’ambiente così come lo è la società, in modo indistinto. Sotto certi aspetti la natura è un prodotto sociale. Se io ti faccio qualcosa tu natura, o tu società o comunità, mi restituisci un altro atto (contrappasso), o se tu mi dai qualcosa io ti ricambio con qualcos’altro (scambio). La natura, come anche i morti, hanno capacità di “intendere e di volere”. L’animismo, infatti, è molto comune in questo modo di pensare, ed è un aspetto derivante da quell’unico principio basato sulla stretta interazione fra gli uomini e il loro ambiente. Questo pensiero “pre-moderno” non è morto mai del tutto; è sopravvissuto per millenni ed era diffusissimo nella cultura contadina fino al secolo scorso. Sotto molti aspetti si sta riaffacciando nella società post-industriale, basti pensare al rapporto quasi animistico che molti hanno con la tecnologia elettronica.
La narrazione del “soggetto razionale”, che tramite il principio di causalità, da una parte, e il principio normativo, dall’altra, ha distinto natura e società, è stata alla base del pensiero moderno. Ma natura e società sono concepite come due modi diversi di legare e leggere gli stessi elementi, che man mano si differenziano fino a separarsi e a contrapporsi. Ancora nella filosofia naturalistica greca, Talete, Anassimandro e Anassimene cercano un ápeiron, un principio unico, che abbraccia e governi tutto, un arché, cioè un principio essenziale dell’universo. Eraclito questo principio lo identifica, oltre che nel fuoco, nel divenire e nel movimento. Parmenide nel suo poema Sulla natura, nel fondare (ondologicamente) l’essere, descrive la verità come disvelamento e la distingue nettamente dalla doxa, dottrina delle opinioni frutto dei principi normativi. Il meraviglioso cynicus Diogene, uno di primi critici del pensiero moderno, ecologista ante litteram, dissacra le norme della nuova polis (che si è macchiata fra l’altro anche della grave colpa di aver condannato a morte il filosofo) sostenendo una vita “naturale” priva di principi normativi.
Questi saggi, che sono considerati i fondatori del pensiero moderno europeo, vincono la lotta contro la religione “sforzano le porte sigillate della natura” liberandola dai dei e dagli spiriti.
Aristotele, pur definendo la natura al modo dei Presocratici, come “la sostanza delle cose che hanno il principio del movimento in se stesse” inizia a distinguere, da questa, il movimento causato “accidentalmente”. Così si inserisce IL dio e si distingue dalla natura l’uomo, le sue azioni. L’uomo è fra gli animali il più sprovveduto ed inerme, ha quindi sempre usato attrezzi per procurarsi ciò che gli serve, ma la tecnica si è prima differenziata dall’arte e poi è diventata tecnologia, cioè la tecnica organizzativa diretta a creare le condizioni per realizzare il rendimento massimo con il minimo sforzo in tutte le attività umane. Un aspetto fondamentale, per capire la “natura” nel pensiero moderno, è indagare anche su quanto ha determinato l’introduzione della tecnologia nella vita umana.
Già Bacone concepiva l’intera scienza come operante per il benessere dell’uomo, per lo sviluppo dei mezzi necessari a rendere più facile la vita per l’uomo. Nel ‘700, quando questo processo scientifico inizia a diffondersi e a produrre trasformazioni della tecnica, si iniziò a contrapporre la natura all’uomo, e per qualcuno (Rousseau) bisognava già tornare alla natura, di cui l’uomo aveva i suoi principi sotto forma di istinto. Man mano, invece, i mezzi divennero fini. La ragione a base della scienza divenne “ragione strumentale”.
La ragione strumentale, base logica della tecnologia, vincola lo stato della coscienza a quell’utile quotidiano che ne costituisce la sua regola, dentro quell’unico criterio di rapportazione rimasto in circolazione: il calcolare. Di fronte ad un mondo scientificamente e tecnicamente organizzato, strutturato e razionalizzato fin nel più piccolo dettaglio, l’uomo (ciascun individuo) funziona sempre più come componente terminale del processo di produzione e riproduzione del sistema. Così, come scrive Horkheimer, essere ragionevoli significa non essere ostinati, cioè adattarsi alla realtà così com’è. Adattarsi serve a sopravvivere: se da una parte produce alienazione dall’altra attenua lo stress cui è sottoposto “l’organismo vivente”.
Allo stesso modo del singolo uomo anche la “natura” diventa un componente del sistema, una merce, anzi una merce rara e per questo da salvaguardare.
L’emergenza ambientale servirà a portare a compimento questo progetto, facendoci dimenticare che l’inquinamento non si ferma davanti ad una delimitazione geografica.
L’inquinamento certo esiste e aumenta man mano che si sviluppa questo sistema, il Polo Nord si sta sciogliendo (!), le difese immunitarie degli uomini sono calate vertiginosamente.
Ma che cos’è l’inquinamento, qualcosa di non naturale? Magris riprendendo Goethe dice che anche lo smog è natura come lo sono le rose, e ha ragione. L’inquinamento difatti può avvenire per vari motivi, sia di carattere puramente naturale, sia di carattere industriale (qualora vogliamo escludere questa attività umana dalla natura), e si può descrivere, sommariamente, come l’alterazione degli elementi necessari alla vita quali aria, acqua, terra ecc. tale da provocare uno “stress” agli organismi viventi, ed è l’inquinamento indiretto, o quello che colpisce direttamente gli organismi viventi tramite l’alterazione delle radiazioni, della luce, del rumore ecc. Le alterazioni diventano nocività.
Bisogna tener presente, però, che gli organismi viventi sono stressati soprattutto dalla costrizione della propria vita in un ambiente “ostile”. Si pensi solo alle nocività prodotte dagli allevamenti di animali, che hanno provocato veri e propri cambiamenti genetici degli animali stessi; ciò avviene anche in quelli con filiera biologica, senza inquinamento. Anche l’uomo vive ormai in una sorte di “batteria da polli”, i suoi cambiamenti, le sue nuove malattie derivano in maggior parte dalle sue condizioni di vita, oltre che dall’assunzione di tossicità, ingerita o respirata, o comunque “contattata”.
Con un’ottica ambientalista non si può capire che cosa è l’inquinamento, né che cos’è la natura, perché separa, anzi contrappone l’uomo e le sue attività alla natura. Se, invece, gli esseri viventi (e anche l’uomo) non vengono estrapolati dalla natura, allora anche la physis acquista un’immagine diversa. L’essere vivente, l’organismo, è un essere che si auto-produce e si auto-costruisce. L’organizzazione che la vita, il bios, faticosamente ha costruito viene trasmessa da un essere vivente ad un altro. È per salvaguardare questa storia, questa evoluzione, che le teorie ecologiche e il movimento ecologista avevano preso piede e parola.
Etimologicamente l’ecologia è lo studio (logos) della casa (oikos). È un termine introdotto alla fine del ‘800 per designare quella scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e il posto dove essi vivono; la “casa” non è solo quella cosa fatta dai muri e dal tetto, o il nido, la tana, l’acqua ecc., è anche lo spazio di vita, di interazioni degli esseri viventi fra di loro, che fanno uso o meno di tecniche, e di questi con l’ambiente che li circonda, ma che forma un tutto interconnesso: l’ambiente è la vita che gli esseri viventi (animali e vegetali) esplicano in uno spazio. Col passare degli anni, e soprattutto dagli anni di plastica (gli anni ‘80) in poi, il termine si è sempre più confuso con l’ambientalismo, inteso come lo studio e la protezione della “natura” astratta dalla vita, soprattutto dalla vita dell’uomo, che anzi diventa il peggiore nemico di questa. Si è, cioè, sempre più rivolto l’interesse esclusivamente all’ambiente, abbandonando però le relazioni che gli esseri viventi hanno in questo.
Si guarda il fumo che esce dal tubo di scappamento delle automobili, o “il rumore del progresso”, e si ignora la cosa più spaventosa dell’automobile: il viso del conducente, inondato di quella serietà desolante di chi crede di andare da qualche parte.
Quando negli anni ‘70 dello scorso secolo il termine ecologia riprese ad essere usato diffusamente, questo era abbinato alla critica sociale; molti autori, di formazione libertaria, parlavano di ecologia-sociale, altri parlavano di ecologia della mente, proprio perché dai loro studi l’inquinamento non era inscindibile dalla forma di vita sociale che il sistema costruiva, o dal modo di pensare la propria vita. I loro appelli erano sì contro lo spreco, ma non tanto o non solo delle merci, quanto contro lo spreco di se stessi, del proprio tempo, della propria vita. Lo spreco delle merci, che produce nocività, non è altro che una conseguenza diretta e inevitabile dello spreco del proprio tempo, della propria vita.
L’ambientalismo mistifica la realtà, nel voler “salvaguardare la natura” espelle l’uomo e la sua vita da questa, ritrovandosi infine a gestire le nocività.
Mi si potrà chiedere: tutto ciò cosa c’entra con gli incendi? Se si vogliono capire le ragioni di ciò che ci capita, a noi e alla nostra “casa”, senza appellarci alla facile e retorica mancanza di protezione, di controllo, di punizione ecc. (che abbiamo visto che vanno nella direzione opposta a quella sperata), dobbiamo capire le dinamiche di interazione di un sistema complesso: quello della vita, con tutta la propria storia.

Vincenzo Talerico

22 commenti:

ninnillo ha detto...
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ninnillo ha detto...
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Vincenzo ha detto...

Caro Ninnillo,
mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento e aspetto con interesse i tuoi prossimi approfondimenti.
Concordo sul fatto che cerchiamo di capire, che è sempre un tentativo, quello che facciamo, per comprendere noi stessi e la nostra vita. La storia a cui mi riferisco, però, non è assolutamente quella con la S maiuscola, ma è quella che è parte integrante della vita, intesa sia in senso biologico, che sociale. Da Monod in poi, infatti, la stessa biologia non può essere più spiegata, col metodo sperimentale, separando un corpo dal suo ambiente naturale, né, in generale con i criteri della separazione fra soggetto e oggetto, il primo (lo spirito, la libertà, la ragione) indagato dalla filosofia e l’altro (tutto ciò che è materiale) dalla scienza. La vita biologica (molto materiale) è condizionata, forse determinata, dalla socialità, dall’ambito sociale e culturale (dalle scelte, dalla libertà). Già il nostro buon Kropotikin aveva sviluppato un’idea di Darwin, dimostrando il ruolo fondamentale del “mutuo appoggio” all’interno di tutte le specie per la loro vita ed evoluzione. Per usare un concetto caro ad Edgar Morin, c’è stato un nuovo aspetto paradigmatico nel pensiero ecologico: così come non si può scindere un essere autonomo dal proprio ambito cosmofisico e biologico, non si può neanche separare la “natura” dalle determinazioni, dalle scelte, degli esseri viventi in essa presenti e soprattutto da quelle del superprimato umano.
“Un chou c’est un chou!” è vero, ma comunque non è una “cosa”, un oggetto chiuso. È ricco di vita e quindi di interazioni fra altri esseri, alcuni dei quali interagiscono con esso tramite strumenti e tecnologia, per poi alla fine vivere grazie ad esso.
A proposito dell’uso della tecnologia ci sarebbe da parlarne per giornate intere. L’organizzazione tecnologizzata della nostra vita amministrata è la struttura dell’attuale dominio sull’uomo e sulla natura. Ma il pensiero moderno si è sempre alimentato di un doppio immaginario collettivo; c’è sempre una “dialettica” fra l’onnipotenza dell’uomo moderno e la “natura” da salvaguardare, fra la carità e la miseria, fra l’ospitalità e il dolore, fra la gloria e il potere, eccetera eccetera. Così, relativamente all’uso della tecnologia, questo doppio immaginario si è configurato con due prospettive opposte, che potremmo chiamare la prospettiva prometeica e quella francescana, la prima vede la scienza e la tecnica come elementi fondamentali dell’emancipazione dell’uomo dalle sue condizioni di sofferenza e di bisogno; mentre l’altra vede la “natura” come buona e armonica, mentre la tecnologia solo come funzione di dominio, di morte, di avvelenamento. Le due prospettive non sono però così distanti come può sembrare a prima vista: fanno parte di un unico immaginario, doppio. Si possono benissimo invertire, e infatti c’è molto “Faust” nell’azione sabotatrice e distruttrice di chi lotta contro la tecnologia, basti pensare alle inventive delle tecniche distruttive. Così come, invece, è tipicamente “francescano” l’immaginario della società (o comunità) emancipata dal lavoro.
È un immaginario che rimane interno al modello del divenire storico (la Storia), ma ormai privato sia del soggetto sia del “progresso”.
Anche la tecnologia, quindi, va vista in un’altra ottica. Ma rimandiamo la discussione ad un’altra volta.
Vincenzo

Anonimo ha detto...

NOLI IREFORAS , REDI INTERIORE OMINIS , VERITAS EST .

anonima ha detto...
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ninnillo ha detto...
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ninnillo ha detto...
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ln ha detto...

L'uso del fuoco è stato fondamentale per lo sviluppo della civiltà umana.
Un albero in fiamme colpito da un fulmine, una colata di lava incandescente fuoriuscita dal cratere di un vulcano:così probabilmente l'uomo scopriva il fuoco. E se all'inizio riusci solo a mantenerlo vivo,con l'esperienza riuscì anche a riprodurlo. Con il fuoco si riaparò dal freddo (grazie al fuoco sarebbe forse stata facilitata la migrazione di gruppi umani dall'Africa verso le più fredde Europa ed Asia), e si difese dagli animali carnivori.
Il focolare illuminava il buio della notte, riscaldava e ravvivava le grotte e le capanne ed intorno alla fiamma gli uomini rafforzavano i loro rapporti, ponendo le basi delle prime comunità.
Ma soprattutto la cottura delle carni e dei vegetali potenziava l'assimilazione delle sostanze nutritive dei cibi da parte dell'uomo, rendendo più forti le strutture ossee, più semplice la masticazione, in una parola migliore la capacità del gusto e la qualità della vita.
Oggi lo utilizziamo ancora ma per scopi più subdoli e tristi. Speculazione edilizia, faide, ramificazioni illecite collegate al rinnovamento
dei pascoli e attività economiche pericolose, dunque interessi criminali che si
infiltrerebbero anche nella gestione dei contratti stagionali degli operai
forestali, impegnati in prima linea unitamente al Corpo Forestale dello Stato,
ai Vigili dei Fuoco e alla Protezione Civile nelle attività di avvistamento e
spegnimento dei roghi.
I nostri antenati ne avevano necessità per sopravvivevre,noi ne abbiamo bisogno per riempire le tasche.
Si è parlato dell' uomo come l' animale più sprovveduto ed inerme, io lo vedo,invece,come un vero e proprio parassita che si ciba incessantemente delle risorse della terra fino a distruggerla.
L'articolo di Talerico è molto bello(e naturalmente l'intervento del mio Sindaco che saluto con affetto),ci sono alcune cose che non avevo mai considerato da quel punto di vista. Come il concetto di casa. La mia casa è anche il bosco che la circonda,non potrei mai considerarla parte a se stante.
Vi lascio con una filastrocca che ho trovato su internet per caso.
La scoperta del fuoco
Filastrocca di Alice Julie Giordano

Il fuoco è un argomento scottante,
è una scoperta importante
che fa paura al brigante
e non scotta
finché la carne non è cotta.

Cuoce cibi, carne
o vivande scarne.
Scalda il cuore, le stanze
e le pietanze.

Di ogni uomo sulla terra abitante
è un grande aiutante.

Se non sei un cuoco,
è meglio non giocare col fuoco!


P.S. Volevo dire a capitan Gep che sto ancora studiando!!!!

ninnillo ha detto...
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ninnillo ha detto...
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J.xck ha detto...
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anonima ha detto...
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me ha detto...
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anonima ha detto...
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J.xck ha detto...
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me ha detto...
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anonima ha detto...
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ninnillo ha detto...
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anonima ha detto...
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ninnillo ha detto...
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