Le voci favorevoli alla costruzione di questo impianto basano il loro assurdo ragionamento sulla ricaduta occupazionale che una centrale potrebbe avere all'interno del territorio. Noi del COMITATO PER LA DIFESA DEI BENI COMUNI vogliamo smascherare questo mito, anche per evitare che il radicamento di possibili messaggi negativi si inserisca nel già degradato tessuto sociale e culturale della città.
Da dati riscontrabili, facilmente, attraverso una semplice ricerca, risulta che, mediamente, gli occupati all'interno di una centrale a biomasse di potenza simile, ed in alcuni casi superiore rispetto a quella prevista per Acri, risultino essere 10/15 impiegati diretti, più altri per l'indotto. C'è da tener presente, però, alcune importanti implicazioni. Partendo dall'indotto, vi è da considerare che esso è costituito, per lo più, da aziende di disboscamento e di trasporto dei materiali (legno in entrata e cenere in uscita), già esistenti, che si occupano di questi specifici comparti, per cui la creazione di posti di lavoro in questi ambiti sarebbe nulla o quasi; per quanto riguarda i lavoratori diretti bisogna capire quali mansioni e, quindi, quali figure sarebbero ricercate, poiché un investitore privato, previsto nel progetto, per le competenze specifiche, non farebbe ricorso alle risorse locali, ma si avvarrebbe di lavoratori specializzati già presenti nell'organico aziendale. Alla luce di ciò, solo pochissimi lavoratori verrebbero assunti “in loco”. Ma questo è un falso problema, poiché i posti di lavoro non valgono la salute pubblica e la tutela del territorio.
Sembra anacronistico che il messaggio della classe politica, e di chi per essa, sia quello della perdita degli improbabili posti di lavoro. La chiusura del salumificio, degli uffici ENEL, del Tribunale o, più recentemente, il fortissimo ridimensionamento del Presidio ospedaliero “Beato Angelo” (solo per citarne alcune), hanno creato una perdita di posti di lavoro, sia diretto che tramite indotto, molto superiore a qualsivoglia centrale a biomasse, senza che NESSUNA amministrazione, di qualsiasi colore politico, abbia mai difeso questi posti di lavoro già presenti. Peccato che in nessuna di queste occasioni anche i “paladini del lavoro” non si siano posti la questione del risvolto negativo che esse hanno avuto sull'economia e sulla popolazione acrese.
Come già sottolineato da precedenti articoli, una centrale a biomasse presenta moltissimi altri aspetti negativi. Innanzitutto, è da sfatare il mito delle “emissioni zero” e di filtri magici che impedirebbero la dispersione nell’aria di sostanze inquinanti, tossiche e cancerogene. Se in una centrale è prevista una ciminiera vuol dire che da questa qualcosa deve uscire. In altre zone in cui sono presenti centrali a biomasse gli inquinanti più comuni presenti nell'aria e nel suolo, di cui si può prendere visione tramite una semplice ricerca sulle motivazioni della chiusura di alcune di esse, sono arsenico, mercurio e ossidi di zolfo, cioè sostanze altamente cancerogene; polveri sottili ed ultrasottili, idrocarburi policiclici aromatici e diossina, anch'essi altamente cancerogeni e mutageni che per loro natura e “leggerezza” possono essere trasportate dagli agenti atmosferici a diversi Km di distanza, provocando effetti pericolosi per la salute della popolazione esposta anche in ambienti distanti e considerati salubri. Figurarsi a ridosso del centro abitato.
Sempre sotto l'aspetto ambientale e sanitario, la legge italiana e comunitaria consente, attraverso semplici passaggi amministrativi (AIA e DIA), la possibilità di conferire in esse i Rifiuti Solidi Urbani (RSU), in quanto il 50% dei RSU è “assimilata” a “quota biodegradabile”, senza tenere conto che almeno l'altro 50% è composto da materiali molto pericolosi per la salute pubblica quali plastiche ed altri materiali trattati chimicamente. Ad esempio a Cutro, in Calabria, in seguito all'emergenza rifiuti, sono stati, legalmente, bruciati RSU in una centrale a biomasse, per cui potrebbe essere un espediente da utilizzare per le eventuali emergenze rifiuti anche ad Acri, nei paesi limitrofi e non solo.
A ciò si aggiungerebbero i risvolti negativi connessi al mancato sviluppo provocato dalla presenza della centrale a biomasse per quanto riguarda l’enogastronomia, la pastorizia e relative attività legate ad esse. Il computo dei posti di lavoro persi, sia in modo diretto sia riguardo al possibile indotto, risulterebbe essere molto superiore alle poche decine prospettate dalla costruzione di una centrale. Proprio per questi motivi invitiamo l'attuale amministrazione, ed anche quelle future, a porre maggiori attenzioni ed interventi sulle tematiche di sviluppo sostenibile all'interno di una visione locale, puntando sulla vocazione economica storica e sulle eccellenze del territorio con programmi di aiuto alle aziende artigiane presenti e con finanziamenti a possibili cooperative e giovani imprenditori che intendano valorizzare i prodotti agricoli di eccellenza presenti sul territorio o che intendano riportare in auge vecchie tradizioni e colture, ormai, andate perdute con il contemporaneo recupero dei terreni incolti. Così da contrastare il rimboschimento selvaggio destinato alla biomassa e, contemporaneamente, quell'imprenditorialità basata sulle storture delle leggi come la 488/92 e i finanziamenti all'agricoltura affidati in modo poco giustificato, ad aziende che, in entrambi i casi, spesso non rispettano appieno le leggi in vigore in materia di lavoro, retribuzione e diritti dei lavoratori.
Non ci meraviglia la presa di posizione dei partiti politici, espressa anche attraverso il silenzio, che da sempre hanno favorito il dissesto e l’inquinamento del territorio con scelte scellerate o mancanza di idee. Ma, invece, ci fa molta tristezza il silenzio delle altre associazioni che si propongono per la tutela e lo sviluppo del tessuto sociale, culturale ed economico di Acri.
COMITATO PER LA DIFESA DEI BENI COMUNI
Acri, 30/01/2014
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