Quello che è successo nei giorni scorsi nel campo rom di Cosenza è a nostro avviso di una gravità inaudita. Siamo di fronte ad una vera e propria operazione di pulizia etnica. Circa 70 i decreti di espulsione che hanno raggiunto molti abitanti del campo rom di vaglio lise, nel quale queste persone vivono da diversi anni. Sono persone che conosciamo bene, con le quali da anni abbiamo allacciato relazioni e insieme stiamo provando a sperimentare nuovi modelli di convivenza, basati prima di tutto sull’ascolto e sul rispetto reciproco. Si tratta di persone ignorate da istituzioni e amministrazioni locali che sempre più spesso parlano di legalità, ma poi voltano la testa dall’altra parte quando si tratta di garantire servizi e diritti minimi alle fasce più deboli della società. Ci domandiamo cosa renda meno sicure le nostre vite? I bambini rom che giocano sul letto del fiume o i rifiuti tossici affondati nei nostri mari? Cosa blocca il nostro sviluppo? I cittadini stranieri presenti sui nostri territori e che mandano avanti la nostra economia o le centinaia di migliaia di euro di risorse pubbliche finite nelle tasche dei privati (imprenditori e politici) grazie alla mega truffa della 488? Più volte nei mesi scorsi abbiamo avuto modo di segnalare nei vari tavoli di lavoro previsti dal regolamento dell’Osservatorio Comunale sull’Immigrazione, le gravi condizioni igienico-sanitarie in cui versa il campo rom, chiedendo all’Assessore Francesca Bozzo di intervenire tempestivamente sulla questione. Dietro l’alibi della mancata competenza specifica in materia, nessuna delle richieste avanzate dalle associazioni, veniva presa in seria considerazione. Denunciamo altresì che la mattina del primo ottobre, giorno dell’operazione ordinata dalla Procura di Cosenza, non un solo rappresentante dell’Amministrazione Comunale era presente nel campo, quanto meno per garantire che l’operazione di polizia avvenisse nel rispetto dei diritti minimi delle persone e in particolare dei minori. Ci chiediamo quali siano i motivi che hanno indotto la Procura a effettuare tale operazione e da chi è stata sollecitata. Non capiamo infatti come mai, non essendoci motivi penali a carico di nessuna delle persone identificate, sia intervenuta la procura. Infine ci chiediamo come sia possibile che un’amministrazione comunale, il cui sindaco in campagna elettorale in un incontro pubblico alla presenza degli altri candidati a primo cittadino aveva rassicurato le associazioni che avrebbe tenuto per se la delega all’immigrazione perché reputava essere uno dei temi più sensibili che la sua giunta avrebbe affrontato, lasci vivere nel degrado gli abitanti del campo rom di Cosenza, senza fornire loro acqua, luce e servizi igienici. Queste persone sono state raggiunte da un provvedimento di espulsione proprio perché vivono in condizioni igienico-sanitarie inaccettabili e perché non possono dimostrare come mantengono se stessi e le proprie famiglie. Ma anche qui ci chiediamo che colpa hanno queste persone se nella nostra regione il tasso di disoccupazione è altissimo e il lavoro nero dilaga. Chiediamo pertanto che l’amministrazione comunale si faccia carico, seriamente, di questa situazione e avvii un tavolo istituzionale con provincia e prefettura per una soluzione condivisa e che rispetti innanzitutto la dignità delle persone così come ci ricorda anche la nostra costituzione. Fintanto che la questione non si avvierà verso una risoluzione che garantisca la permanenza dignitosa e tutelata della comunità rom nella città di Cosenza, le scriventi associazioni non intendono più partecipare ai tavoli dell’osservatorio comunale sull’immigrazione.Cosenza, 17 ottobre 2009.
Associazione Baobab, Associazione La Kasbah, Mo.C.I., Promidea, FAI, GAO ONG, OSC
2 commenti:
Scusate se non c'entra coi Rom.
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"Una cifra da fare tremare i polsi. Secondo Legambiente sarebbero 637 le cosiddette ‘navi a perdere’, affondate nel Mediterraneo, in soli cinque anni, per fare smaltire rifiuti tossici. Lo ha detto Antonio Pergolizzi, coordinatore dell’osservatorio Ambiente e legalità dell’associazione ambientalista intervenendo al Forum nazionale contro la mafia che si è concluso a Firenze.
Il dato emerge da un rapporto della Direzione investigativa antimafia di Roma del 2001. Nell’elenco è compresa la nave Rigel partita il 21 settembre 1987 dal porto della Spezia e affondata a 50 chilometri a sud di Reggio Calabria, davanti a Capo Spartivento. Per quell’affondamento, il tribunale della Spezia pronunciò sentenza di condanna per naufragio doloso, confermata in appello nel 1999 e resa definitiva nel 2001.
LA MARINA SAPEVA, DA 3 ANNI DIVIETO DI PESCA A CETRARO – Secondo il Manifesto, al largo di Cetraro (Cosenza), dove è stato ritrovato il relitto di una nave con sospetti rifiuti radioattivi, dal 2007 la Capitaneria di porto aveva vietato la pesca a strascico perché la zona era risultata contaminata “da metalli pesanti: arsenico, cobalto, alluminio e cromo. Sostanze che qualcuno ha gettato in mare”. Secondo il Manifesto un’ordinanza della Capitaneria di porto di Cetraro, la 3/2007, indica due quadrilateri, vietando la pesca a strascico. “La Marina militare, dunque, sapeva dell’esistenza di rifiuti tossici al largo di Cetraro da almeno tre anni”.
ALTRO RELITTO NEL VIBONESE – Il relitto di un’altra nave sarebbe stato individuato a poche miglia dal litorale vibonese. Sugli accertamenti viene mantenuto il massimo riserbo. Il relitto potrebbe essere quello della nave Mikigan, afferma Legambiente sulla base “della cartina della Oceanic Disposal Management Inc. (società creata dall’imprenditore Giorgio Comerio, per l’affondamento programmato di scorie radioattive nei fondali), agli atti della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti”. La Mikigan era la nave affondata il 31 ottobre 1986 nel Tirreno calabrese con il suo carico misterioso, sicuramente protetto da granulato di marmo (materiale utilizzato per schermare materiali altamente radioattivi), dopo essere partita dal porto di Massa Carrara, altro porto spesso citato nelle indagini sulle navi fantasma e luogo dal quale partì anche la Rigel.
ANCORA ATTESA PER LA VERIFICA DEI FUSTI E LA BONIFICA – “Purtroppo però – ha aggiunto Nuccio Barillà, di Legambiente Calabria – è sotto gli occhi di tutti la totale inerzia delle istituzioni. Ad un mese dall’avvistamento del relitto a largo di Cetraro, che si sospetta essere la Cunsky, nessuna operazione concreta è stata avviata per il recupero e la verifica dei contenuti. Non si è mai avuto notizia dell’arrivo della nave della Saipem (gruppo Eni) che secondo il ministro Prestigiacomo sarebbe partita da Cipro il 7 ottobre per verificare la situazione del relitto, mentre l’Astrea, altra nave mandata dal ministero per le prime operazioni di monitoraggio, sarebbe ferma al largo di Maratea in attesa di autorizzazioni proprio da parte dello stesso ministero”.
Secondo l’Eni, citata dal Manifesto, anche la partenza della Saipem non è ancora avvenuta in attesa delle autorizzazioni “del ministero e della Dda di Catanzaro”, che indaga sulla vicenda."
da: http://www.politicambiente.it/?p=1490
p.s.
qui sopra ho messo il link, ma non la data di questo post: 12 ottobre 2009
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