20 aprile 2009

ALDILA' DI SCRITTORI



Andrea Colombo
L'ultima apocalisse di James Ballard
da IL MANIFESTO 19/04/09



James Ballard è morto. Aveva 78 anni e passerà alla storia come l'autore che meglio e più profondamente di ogni altro ha saputo cogliere, spesso anticipandoli, i lati oscuri della contemporaneità, di quell'epoca torva che alcuni hanno chiamato postmoderna, altri postfordista, e in cui tutti viviamo.
Inglese ma nato a Shangai nel 1930, finì con tutta la famiglia in un campo di prigionia giapponese durante la guerra. Quell'esperienza fondativa l'ha poi raccontata nell' “Impero del Sole” (1984) che Spielberg si è occupato di trasformare tre anni dopo in film. Un'autobiografia completa è uscita l'anno scorso. Si chiama “Miracle of Life” e nelle librerie italiane è appena arrivata, edita da Feltrinelli. Lo scrittore, malato di cancro al pancreas e alle ossa, cosciente di essere vicinissimo alla fine, racconta la sua vita: l'infanzia a Shangai, la prigionia, l'arrivo in un'Inghilterra molto diversa da come la aveva immaginata (“Mi resi conto che l'Inghilterra in cui ero stato indotto a credere era un prodotto della fantasia”), poi la carriera di scrittore, la traumatizzante morte della prima moglie nel'64, il conseguente e lungo idillio con l'alcol, la risalita dopo l'incontro con una nuova compagna, Claire Walsh.
Il primo romanzo, “Il vento del nulla”, è del '61. Fu considerato un libro di fantascienza, e tale lo considerava anche il suo autore, ma di un Sf molto diversa da quella allora in voga: una fantascienza che non guardava allo spazio profondo ma ai disastri ecologici, che non temeva mutanti o invasori ma un'apocalisse più autarchica, infinitamente più distruttiva, molto più inquietante perché palesemente possibile. Anzi, non una ma quattro diversi tipi di apocalisse, a ognuno dei quali dedicò un romanzo (dopo quello d'esordio, “Deserto d'acqua”, “Terra bruciata”, “Foresta di cristallo”).
A partire dal 1970, dopo la crisi seguita alla morte della moglie, Ballard cambiò bruscamente strada. Almeno in apparenza. Surreali, grotteschi, feroci i suoi libri iniziarono a descrivere il mondo contemporaneo attraverso un satirico specchio visionario, delirante, che restituiva però con lucido realismo l'impazzimento di una intera struttura sociale: i racconti di “La mostra delle atrocità”, il perverso erotismo delle lamiere contorte e dei corpi straziati di “Crash”, la metafora della guerra civile globale, permanente e insensata di “Condominio”, forse il suo vero capolavoro.
L'ultima parte della sua opera è segnata ancora da una improvvisa sterzata. A partire dagli anni '90, Ballard passa a descrivere la nuova, sterminata “middle class” del mondo costruito sulle macerie della fabbrica: sfruttatrice e sostanzialmente sfruttata, autosegregata in enclaves fortificate e militarizzate per difendersi da ogni diversità, minacciosa per definizione, costretta dal proprio intimo squilibrio a cercare sollievo abbandonandosi ad atrocità di ogni sorta. In “Cocaine Nights”, “Super-Cannes”, “Millenium People” e “Il regno a venire”, Ballard descrive le pulsioni profonde e la distruttività intrinseca del sistema sociale costruito a partire dagli anni'80 con precisione superiore e quella di quasi tutti i testi sociologici e politologici che infestano le librerie. E si adopera, coscientemente, per provocare il crollo e l'esplosione di quella sruttura. Perché James Graham Ballard è stato un grandissimo scrittore, ma è stato un ancor più grande sovversivo. Uno dei pochi rimasti sulla piazza.

13 commenti:

cartella senza titolo ha detto...

james ballard chi?si diranno i lettori.

cartella con titolo ha detto...

Se non lo sanno ci pensa google o qualsiasi altro motore di ricerca.

drum's not dead ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=cLbLWl-d5IA

Pablo Neruda ha detto...

Sete di te m'incalza

Sete di te m'incalza nelle notti affamate.
Tremula mano rossa che si leva fino alla tua vita.
Ebbra di sete, pazza di sete, sete di selva riarsa.
Sete di metallo ardente, sete di radici avide.
Verso dove, nelle sere in cui i tuoi occhi non vadano
in viaggio verso i miei occhi, attendendoti allora.


Sei piena di tutte le ombre che mi spiano.
Mi segui come gli astri seguono la notte.
Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.
Tu a tutte rispondi. Sei piena di voci.
Ancora bianca che cadi sul mare che attraversiamo.
Solco per il torbido seme del mio nome.
Esista una terra mia che non copra la tua orma.
Senza i tuoi occhi erranti, nella notte, verso dove.


Per questo sei la sete e ciò che deve saziarla.
Come poter non amarti se per questo devo amarti.
Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.
Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa.
Sete di te, sete di te, ghirlanda arroce e dolce.
Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.
Gli occhi hanno sete, perchè esistono i tuoi occhi.
La bocca ha sete, perchè esistono i tuoi baci.
L'anima è accesa di queste braccia che ti amano.
Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.
Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.
E in essa si distrugge come l'acqua nel fuoco.

ln ha detto...

Ma tutto questo romanticismo da dove è uscito? Questa sembra una gabbia di matti prima facciamo i depravati,poi gli innamorati?
Vada per Wilcock ma Neruda no. Risparmiateci questa tortura.

Il postino di Neruda ha detto...

Giulietta! Giulietta!
La tua danza del ventre...

Giulietta ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=Yw8O4uPS_Sc

Giulietta ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=Sbz1z_KoAdI

dildo ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=LZ-G0TAHhS4

Anonimo ha detto...

a "cartella senza titolo" (!):
qualcosa l'avevamo letta di lui e su di lui.
Senza motore... etc. Ironico... eh?
La Sf ci piace. E certi autori sono meravigliosamente bravi.
Tu, cosa avevi letto?

feltrinellieditore.it ha detto...

Gli alieni siamo noi. Intervista a J.G. Ballard
di Enrico Franceschini, tratta da “la Repubblica”, 5 novembre 2003

Da tempo, dopo aver girovagato per mezzo mondo, Ballard si è stabilito a Shepperton, una cittadina a sud degli sterminati sobborghi di Londra. "E´ un buon posto per scrivere", dice, "e per capire come va il mondo".

E come va, visto da qui?
"Qui vicino passa la M25, il grande anello di circonvallazione esterna di Londra. Tutto attorno a questa superstrada c´è un agglomerato suburbano fatto di anonime villette e squallidi condomini di finto lusso, supermercati e shopping-center, stazioni di benzina e cinema multisale, lavanderie a gettone e rosticcerie cinesi. La nuova Inghilterra è tutta qui, una realtà che non è più né città né campagna, una società usa-e-getta dove le relazioni personali non contano più, perché si sceglie un amico, un amante, una moglie come si sceglie una vacanza tutto compreso di cinque giorni in qualche località esotica di cui non capirai nulla, prima di ributtarsi nel folle tran-tran quotidiano...".

E lei in questa realtà trova l´ispirazione?
"Io ho sempre cercato l´ispirazione nella vita di tutti i giorni, in un mondo fatto di autostrade, supermercati, stazioni ferroviarie. Il mondo in cui vive la gente normale. Alcuni mi definiscono uno scrittore di fantascienza. Io non sono del tutto d´accordo, perché i miei romanzi mi sembrano più veristi, realisti, di quelli di tanti cosiddetti classici, come Kingsley Amis o Waugh, che raccontavano un mondo elitario, assolutamente sconosciuto all´uomo della strada".

Cos´è per lei la fantascienza?
"Non mi è mai piaciuta la fantascienza all´americana, quella che esplora nuove galassie in un distante futuro. Ho sempre pensato che il pianeta da esplorare è la terra, e che gli alieni, i mostri, siamo noi, gli uomini d´oggi. Lo spazio in cui cerco di entrare con i miei romanzi e racconti è uno spazio psicologico, quello siderale non mi interessa".

Un tema ricorrente delle sue opere è la catastrofe, naturale o provocata dall´uomo. Perché?
"Perché la cronaca passa da una catastrofe all´altra. Provi a rileggere i titoli di prima pagina del suo giornale dell´ultimo anno: guerre, incidenti, sciagure, disastri continui. E´ sempre stato così, soltanto negli ultimi secoli di relativi pace e benessere in Occidente ce ne siamo un po´ dimenticati. Quando arrivai a Londra dall´Estremo Oriente, da ragazzo, molti mi dicevano: che vita strana, avventurosa e pericolosa che hai avuto in Asia! Ma non era stata per niente strana. In Asia, nel Terzo Mondo, cioè nella maggior parte della terra e per la maggior parte della popolazione mondiale, la vita è un susseguirsi di guerre, fame, malattie, inondazioni. Le catastrofi non sono solo un tema ricorrente dei miei romanzi, sono un tema ricorrente della vita di questo mondo".

Come anche l´America ha avuto modo di ricordare, l´11 settembre 2001.
"Un giorno terribile per tutto il pianeta, che ha rovesciato la sua solidarietà sull´America. Ma con una differenza: l´Europa, il resto del mondo, sapevano benissimo cosa significasse un bombardamento dal cielo sulle proprie città, sulla popolazione civile. Tutti i nostri paesi, Italia, Inghilterra, Germania, Francia, l´hanno provato sulla propria pelle. L´America non lo sapeva e il suo shock è stato dunque più forte, più grave. Non lo sapeva, aggiungo io, ma forse se lo aspettava, perché quel tipo di attacco sembrava preso dal copione di uno dei tanti film catastrofisti usciti a Hollywood negli anni precedenti. Era come se l´11 settembre 2001 fosse già scritto nell´inconscio americano".

Un altro tema dei suoi romanzi è la decadenza della società contemporanea. Ne ha già accennato, parlando della noia. Dunque non vede nessuna speranza?
"Non vorrei apparire troppo cupo o passare per un profeta di sventure. Penso però che la società occidentale sia entrata in una fase molto pericolosa. La gente ha tutto quello che sognava da generazioni, una casa con tutti i comfort, l´automobile, la possibilità di viaggiare, e lo stesso non è felice. Anzi, sembra più infelice che mai. Non rimpiango il passato, non dico che si stesse meglio quando si viveva peggio. Ma certamente nel modo in cui viviamo oggi c´è qualcosa che non va".

E quale è il pericolo?
"Quando la gente non sa più cosa vuole, possono nascere falsi dèi, piccoli messia, religiosi o politici, totalitarismi di nuovo genere, in apparenza meno violenti ma forse più efficaci nel controllare le coscienze. Come diceva Goya: il sonno della ragione genera mostri. L´uomo moderno sembra aver perso il senno, e qualcuno potrebbe approfittarne. O ne sta già approfittando".

A chi allude?
"George W. Bush è sicuramente uno strano leader. Molto, molto strano. Ma anche Blair, a suo modo, è strano: ha questo aspetto da uomo della porta accanto, ma con un luccichio negli occhi. Ha lo sguardo convinto e convincente dell´evangelista, più che del leader politico vecchia maniera. E difatti ci ha trascinati in una guerra, in Iraq, citando un pericolo che non esisteva, le armi di distruzione di massa, e anche adesso che è stato dimostrato che quelle armi non c´erano lui rimane convinto di avere avuto ragione: l´occhio continua a luccicare. Per non parlare di Silvio Berlusconi in Italia".

Leader assai diversi tra loro...
"Sì, ma intendo dire che mi spaventano i politici che fanno appello alle emozioni, anziché alla ragione. Come fece Hitler. Non voglio esagerare il pericolo, ma credo che il mondo debba esserne più consapevole, per poterlo affrontare".

L´Inghilterra ha una tradizione di romanzieri come lei, che si occupano, in modo anticonvenzionale, di fantascienza o fantapolitica, che scrutano il futuro: Aldous Huxley, Orwell, Golding...
"Forse dipende dal clima e dalla geografia. Non sto scherzando. Siamo una popolazione molto numerosa, su un´isola piuttosto piccola, piccolissima se consideriamo le regioni impervie del nord, quasi disabitate. Siamo come i passeggeri di una nave o di una scialuppa, sbattuta dalle onde, che per farsi coraggio ascolta i racconti di mare del nostromo. Che siamo noi scrittori".

Lei è considerato dalla critica un maestro del racconto breve. Chi sono i suoi modelli in questo campo?
"Il racconto mi piace perché è una specie di romanzo condensato, perché lo scrittore non può ricorrere a trucchi, non può permettersi di sbagliare nulla: nemmeno una pagina, un paragrafo, una riga. E poi forse è più adatto del romanzo a questa nostra era così rapida, effimera. I modelli che amo sono tanti, da Hemingway a Calvino. Ma uno che si erge su tutti per me è Kafka. Ecco cosa consiglio ai terrestri di oggi e di domani: se non vi divertite più a niente, leggete La metamorfosi. Con Kafka, lo garantisco, non vi annoierete".

Feltrinellieditore.it ha detto...

Giuseppe Montesano: Ballard e Vonnegut, profeti di penna
Tratto da “Il Mattino”, 15 luglio 2003

«Era passato qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell'immenso condominio»: è così che si apre Il condominio di James G. Ballard - tradotto da Paolo Lagorio - e bisogna riconoscere che nel romanzo il dottor Laing di «singolari avvenimenti» su cui riflettere ne attraversa molti. In un immenso edificio di quaranta piani, autosufficiente al punto da includere una scuola e un supermarket, si scatena una furiosa regressione al primitivo che fa saltare per aria in pochi giorni la crosta sottile della civiltà e instaura nel condominio una volta ovattatamene di lusso una sorta di nevrotica legge della giungla. Per una serie di black out elettrici nel condominio tutto comincia a degradarsi: l'aria condizionata soffia polvere, i cibi marciscono e ammuffiscono nelle tombe dei frigoriferi, gli ascensori funzionanti diventano preda delle lotte tra i condomini. Ben presto la guerra di tutti contro tutti si mescola al conflitto di classe, e si scatenano sottoguerre tra proprietari dei piani alti e dei piani bassi, con agguati reciproci e regolamenti di conti. L'immondizia si accumula dovunque, scatenate feste e orge si trascinano tutta la notte, per nutrirsi si arriva fino a ammazzare i cani e a arrostirli sui mobili di casa fatti a pezzi, gli uomini tornano maschi che si dipingono ritualmente il corpo e le donne regrediscono a femmine che si offrono al più forte, e la violenza diventa insieme la sola regola e il più profondo godimento. La vera forza del romanzo di Ballard consiste nel suo riuscire a sospendere l'incredulità del lettore, e nel fargli sentire con un brivido che anche il suo condominio a Fuorigrotta o a Milano con le sue piccole liti potrebbe trasformarsi in un incubo: perché la fantascienza di Ballard non è fatta di pianeti di plastica e alieni verdastri, ma di rapporti sociali alienati e di una umanità sull'orlo della catastrofe mentale. Ed è forse un segnale che in questi ultimi tempi si siano concentrate molte uscite di autori importanti una volta marchiati con sufficienza come «scittori di fantascienza», e oggi riconoscibili senza dubbi tra i massimi realisti del nostro sgangherato presente: J.G. Ballard da Feltrinelli, P.K. Dick da Fanucci finalmente in una collana non di genere, Vonnegut da Eleuthera e ancora da Feltrinelli con Ghiaccio-nove e Mattatoio n.5. Tutti sono scrittori di confine, con alle spalle la tradizione di Swift come di Wells, e davanti l'incerto crepuscolo dove tutto è possibile nel quale siamo impaludati tutti. In Mattatoio n.5 si legge: «Un giorno Rosewater disse a Billy una cosa interessante su un libro che non era di fantascienza. Disse che tutto quello che c'era da sapere sulla vita si poteva trovare nei Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij. ”Ma non basta più”, disse Rosewater.» In quel fulmineo «non basta più» Vonnegut riassumeva quarant'anni fa una questione che ci riguarda ancora da vicino: la grande letteratura del passato deve essere reinventata e contaminata, e la sua tradizione manomessa con passione e esattezza, perché l'immagine del mondo in cui siamo vissuti fino a ieri è stata frantumata dalla feroce ironia del «nuovo», e la realtà appare deformata non più solo nella materia esterna ma fin dentro i meandri della psiche. E quanti se ne sono accorti? Come se niente fosse mai accaduto e vivessimo nel migliore dei mondi possibili, masse di scrittori narcisetti continuano a sfornare libri morti e sepolti prima ancora di vagire: romanzi-polpettone sui buoni sentimenti e le belle storie del tempo che fu; finti noir o gialli che raccontano una criminalità consolatoria estinta da secoli; storielle intimiste che piagnucolano ancora e ancora sulla fine dell'adolescenza asciugandosi di nascosto il moccio: eccetera eccetera eccetera. Eppure siamo già nel condominio platenario di J.G. Ballard, eppure ci sono già i padroni mediatici che ipnotizzano le masse in P.K. Dick, e il bombardamento di Dresda evocato da Vonnegut è stato replicato con successo in mediorente e fra poco chissà dove. E non è forse nella nuova terra di nessuno dove bene e male sono sempre più difficili da distinguere che si aggirano il miglior Huellebecq, lo straordinario J.M. Coetzee, il David Saunders di Pastoralia, Coreghessan Boyle o il Means di Episodi incendiari assortiti? Siamo sull'orlo della rottura di un ordine durato secoli, ma per descriverlo è necessario vederne le crepe, e sobbalzare sentendo nella nostra carne i suoi scricchiolii. Non sarà con la piccola letteratura furbetta che conosceremo il presente, ma mettendo a scontrare stili e generi e idee le più disparate e disperate possibili, con un solo obbligo assoluto: mostrare quello che c'è nella realtà. Ma questo vorrebbe dire abbandonare l'oleoso e narcisistico semplicismo delle buone piccole cose, riconoscere che la tradizione letteraria è l'amante perpetua degli scrittori ma va sempre riletta e tradita nel furore del qui e ora, e soprattutto che tocca fornirsi di una visione meno banale del mondo interconnesso e contraddittorio dal quale siamo vissuti. Un secolo fa nel ciclo di «Ubu» Alfred Jarry immaginò che un idiota si sarebbe impadronito del dominio semplicemente abbandonandosi alla sua immensa meschinità di piccolo borghese che racconta barzellette volgari, che uomini liberi sarebbero diventati schiavi felici purché qualcuno si preoccupasse di non fargli avere troppi pensieri in testa e che la violenza del potere sarebbe stata mascherata dal suo stesso trionfante eccesso: esagerò Alfred Jarry e esagerano James G. Ballard e gli altri? Addentriamoci nelle rovine ben ordinate dell'Occidente a occhi aperti, lasciamo perdere le ipocrite consolazioni che ci offrono come a condannati a morte, e forse ci accorgeremo che in tempi come questi solo l’esagerazione è vera.

Anonimo ha detto...

Molto interessante tutto questo! Merci. L'ho letto e lo rileggero'.
Beninteso, com'è detto nel post, si tratta di "Sf"... nel suo caso.
Come lui stesso spiega, parla della realtà, eccetera. Di come se la vede intorno.
Il suo Lontano, avvicina.