14 gennaio 2010

RIBELLARSI NON E' SOLO GIUSTO, MA INDISPENSABILE






sabato 09 gennaio 2010 - 15:07

Rosarno è uno paese del reggino in cui migliaia di immigrati si raccolgono ogni inverno per raccogliere agrumi. Sottopagati e sfruttati, vivono in condizioni gravissime dal punto di vista igienico e sanitario, in un contesto di vera e propria crisi umanitaria.La loro condizione è aggravata dal clima di xenofobia mafiosa cui sono sottoposti non da pochi giorni, ma da anni, in cui si sono ripetutamente registrati pestaggi e altre violenze gratuite. Già nel 2008, a seguito del ferimento di due ivoriani si sollevava una protesta da parte degli immigrati che otteneva spazio su media nazionali.Il 7 gennaio alle 14,30 un ragazzo africano è stato ferito con un fucile ad aria compressa. Intorno alle 17,30 altri due africani, questa volta nei pressi della Rognetta, sono stati raggiunti dai colpi di un'arma simile. A seguito di queste aggressioni premeditate iniziano delle proteste che presto degenerano nella violenza.Rosarno è un paese dove la concentrazione mafiosa è tra le più alte nel Sud e il territorio è dominato dalla potente e feroce 'ndrangheta, che è la stessa che sfrutta questi lavoratori a basso costo. Accanto alla reazione di una parte dei rosarnesi, anche la 'ndrangheta reagisce pesantemente. Si scatena una vera e propria "caccia al nero" da stato Sudista americanodi metà Ottocento: decine di immigrati investiti con le auto, picchiati selvaggiamente o feriti a colpi di arma da fuoco da veri e propri squadroni armati. Il messaggio della mafia è chiaro: "Se volete stare qui, questo è il prezzo altrimenti andatevene, ne verranno altri".La grave situazione di Rosarno era conosciuta da tempo da tutti i partiti di governo, dalle forze dell'ordine e dai sindacati dicategoria, e da tutti tollerata. Era una bomba a orologeria che prima o poi sarebbe esplosa. E a farne le spese sono ancora una volta gli ultimi. Che finora in questa terra sono gli unici a essersi veramente ribellati alla mafia.
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Rosarno e gli schiavi usa e getta
Immigrazione
di Angelo Pagliaro
11/01/2010

Varie le ipotesi formulate degli investigatori circa le cause dell'aggressione contro gli immigrati residenti a Rosarno (RC). Tra le altre quella secondo cui sia stata la criminalità organizzata a sobillare extracomunitari e abitanti del luogo, per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale dalla preoccupante vicenda di Reggio Calabria, dove il 3 gennaio scorso è esplosa, davanti al cancello della Procura generale, una bomba artigianale. Quindi si utilizzerebbe la disperata situazione nella quale vivono centinaia di nuovi schiavi, concentratisi nella Piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi e delle ortive, per distogliere l' attenzione dal caso Reggio? Molti dei giornalisti accorsi in Calabria, alla vista delle condizioni di vita degli extracomunitari, si sono posti altri interrogativi tra i quali lo stesso che si pose Primo Levi di ritorno dai lager: ma questi sono uomini? Un fornello con una pentola per lavarsi, cartoni per materasso, una bottiglia di passata di pomodoro e un pacchetto di spaghetti per la cena di decine di africani. Topi grossi quanto un gatto danzano sugli zaini dei migranti alla ricerca di cibo. I cittadini intervistati a Rosarno affermano di essere stati solidali prima degli scontri (innescati dai bianchi che hanno "giocato" a sparare ai neri). Ma non è diversa da Rosarno la situazione in cui i caporali pugliesi detengono gli extracomunitari ed anche i locali, non è dissimile la vita che conducono i senegalesi o gli indiani nell'agro-nocerino-sarnese. Il settore agricolo italiano, in queste ore, viene messo sul banco degli imputati perché è lì che si applica il razzismo schiavista. Nel caso di Rosarno, città il cui consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazione mafiosa, si è scelto di sparare con fucili ad aria compressa alle gambe di questi disperati del pianeta che hanno avuto il coraggio di attaccare frontalmente il sistema di dominio mafioso che controlla l´economia e il territorio calabrese. Questi africani, ai quali l'Italia ha garantito, al pari dei loro avi, lo status di schiavo, hanno sfidato a mani nude la `Ndrangheta, hanno sfidato i padroni delle terre in cui vengono sfruttati e umiliati. L'atto in sé ricorda l'attentato operato dai casalesi, nel settembre 2008, che costò la vita a sei extracomunitari di colore, ma in quel caso si parlò di bande di nigeriani che offuscavano "O sistema". A Rosarno non è emerso nessun coinvolgimento degli extracomunitari nel mercato della droga, ma una situazione di degrado con una immensa forza lavoro che salva l'economia agricola della Piana e che viene trattata in modo sub-umano, seppur ancora senza catene al collo e anelli al naso come si usava nella Georgia nel 1854. Come sempre il problema viene banalizzato e ridotto ad un fatto di ordine pubblico. I ministri competenti, Maroni e Alfano, chiedono solo di ripristinare la legalità, mettere tutto in ordine immediatamente. Ma i calabresi sanno che, in queste zone della regione decide solo la 'ndrangheta se ripristinare l'ordine o farlo precipitare e che sommosse come quelle di Rosarno non possono verificarsi senza l'assenso delle "famiglie". E difatti è stato arrestato, per resistenza a pubblico ufficiale, il figlio di un presunto boss della città e la magistratura reggina, sta valutando l'ipotesi che a "cavalcare" la protesta prima degli extracomunitari e poi dei cittadini locali vi siano proprio le cosche. Il Prefetto di Reggio ha rimarcato che sicuramente "era gente che remava contro e che andava contro lo stesso comitato civico col quale ho avuto un confronto civile, trovando persone serene e comprensive". E cosa dire del cittadino che, rivolgendosi al giornalista del tg5 che lo intervistava, ha dichiarato impunemente che molti cittadini sono armati fino ai denti? Non risulta che contro le 'ndrine locali ( per opporsi alle quali il comunista rosarnese Peppino Valarioti, negli anni '70, venne barbaramente ucciso) che da centinaia di anni dominano intere aree della regione ci sia mai stata una reazione, da parte della società civile, così dura. Se questi sono uomini se lo chieda anche la chiesa calabrese che gestisce strutture (conventi, seminari, scuole) deserte o parzialmente utilizzate e che potrebbe ospitare una umanità che non ha un tetto e un pasto caldo e che lavora con qualsiasi clima 12 ore al giorno per 15 euro.Sui calendari 2010 distribuiti dall'Opera S.Antonio di Andria (BA) si legge: "L'elemosina copre la moltitudine dei peccati". Nulla di più falso e anticristiano; non si scambia il diritto inalienabile degli uomini ad una vita dignitosa, all'integrazione e all'accoglienza con l'elemosina, con la concessione, con il favore. "Ho dato il mio giaccone vecchio ad uno di questi neri" ha detto un rosarnese alla tv con l'intento di affermare la sua solidarietà umana, ma non aggiungendo che i soldi per l'acquisto di un giaccone nuovo "questi neri" li guadagnerebbero se le aziende agricole della zona li pagassero a tariffa sindacale. Le associazioni antirazziste riunitesi a Roma in queste ore, davanti al Viminale, chiedono di sapere che fine hanno fatto sia gli ispettori del lavoro nella Piana di Gioia Tauro che i sindacati che avrebbero dovuto tutelare i diritti dei lavoratori, anche se immigrati. Dopo Rosarno sarà tutto più difficile per i migranti, rinchiusi nei centri di identificazione ed espulsione, sulle loro condizioni di vivibilità, mentre sarà gioco facile, per quelle forze politiche che da anni vedono l'accoglienza delle regioni meridionali come un ostacolo alle politiche auspicate di espulsione e respingimento, teorizzare la necessità di leggi più dure sull'immigrazione. Perché le mafie rinunciano, senza una ragione per ora comprensibile, al "capitale umano" che sfrutta, e innescano un processo di destabilizzazione stabilizzante che si concretizzerà, probabilmente, nella promulgazione di leggi o provvedimenti antirazziali?
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CON IL SANGUE AGLI OCCHI
Hanno alzato la testa e lo hanno fatto senza mediazioni, con la rabbia di chi vuole rispetto e non è più disposto a ingoiare il boccone amaro dell'ingiustizia.La rivolta degli immigrati di Rosarno è una risposta sincera e coraggiosa alla schiavitù, alla discriminazione, all'intimidazione, all'indifferenza.In queste ore convulse gli immigrati hanno attaccato frontalmente il sistema di dominio mafioso che controlla l'economia e il territorio calabrese: gli immigrati hanno sfidato a mani nude la 'Ndrangheta, hanno sfidato i padroni delle terre in cui vengono sfruttati e umiliati.Gli immigrati in rivolta sono lavoratori della terra, manodopera a costo zero e senza diritti e tutele perché schiacciata da una clandestinità prodotta da leggi razziste emanate nell'interesse dei padroni. Gli immigrati in rivolta sono i lavoratori stagionali che percorrono migliaia di chilometri seguendo i ritmi delle colture, dalla Sicilia alla Campania, dalla Calabria alla Puglia, spaccandosi la schiena quindici ore al giorno per quindici euro. Gli immigrati in rivolta sono quelli che vengono picchiati e minacciati dai caporali se solo provano a chiedere acqua corrente, un tetto sulla testa o una paga più dignitosa.Il ministro dell'Interno Roberto Maroni si permette di tuonare contro i "clandestini" senza accennare minimamente agli ultimi attacchi subiti dai migranti o alle condizioni bestiali che li hanno portati all'esasperazione. Insieme a Maroni, tutto il verminaio politico, senza distinzioni, blatera parole di circostanza oscillando tra ipocrisia e frasi fatte, tra intolleranza e insofferenza. Le notizie provenienti da Rosarno non sono incoraggianti: persone armate si aggirano in paese alla ricerca di immigrati e il clima è ancora pesantissimo. Questa è l'Italia, razzista e spietata, plasmata dal potere statale e mafioso. Questo è il risultato della devastazione sociale in cui è precipitato il nostro paese. Nell'esprimere la nostra solidarietà agli immigrati in lotta per i loro diritti, manifestiamo il nostro più profondo disprezzo nei confronti di tutti i mafiosi e di tutti i razzisti che presidiano le strade di Rosarno e i palazzi del potere.

Commissione Antirazzista della Federazione Anarchica Italiana -
FAICommissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana -
08/01/2010










LA REDAZIONE

2 commenti:

il chiuR.Lo. ha detto...

ARANCE SENZA SUCCO
Il Fatto Quotidiano
14 gennaio 2010

di Daniele Martini

Dove scoppierà la prossima Rosarno? C’è una parola brutta che gli esperti agricoli usano con insistenza per spiegare che le ragioni economiche alla base della cosidetta guerra delle arance probabilmente faranno da innesco ad altre battaglie. Il termine è “disaccoppiamento”. Tradotto in soldoni significa questo: per ottenere gli aiuti ad integrazione del reddito dalla Comunità europea, senza i quali l’impresa agricola spesso rischia di finire a gambe all’aria, in particolare nel Mezzogiorno, da qualche tempo non è più necessario produrre o, almeno, far finta di produrre. Basta dimostrare che si possiede un appezzamento e i quattrini arrivano. Tra produzione e proprietà c’è, appunto, un disaccoppiamento, una scissione, un disgiungimento. Una follia? Un incentivo a lasciare le terre incolte? Il colpo finale ad un’agricoltura malata? Sì e no. Di certo il disaccoppiamento è un cambiamento epocale per le campagne italiane, meridionali in primo luogo. Una rivoluzione di cui pochi si sono accorti, ma che ora nel bene e nel male comincia a produrre i suoi effetti.
Rosarno è il frutto avvelenato del cambiamento in atto e quasi sicuramente non resterà isolato. “Non voglio fare laCassandra, oggi è capitato qui, ma tra un po’ capiterà da un’altra parte, è inevitabile”, sostiene senza enfasi e quasi scusandosi per la previsione nera Pietro Molinaro, presidente della Coldiretti calabra, l’organizzazione agricola che con 30 mila iscritti è la più rappresentativa e forte della regione. Con il disaccoppiamento in alcuni casi è più conveniente lasciar marcire i prodotti nei campi o sugli alberi piuttosto che raccoglierli, anche utilizzando i disperati neri a 25 euro al giorno come succedeva a Rosarno, figurarsi poi se si usa manodopera regolare che tra contributi e assicurazioni costa un’ottantina di euro. E se il lavoro agricolo irregolare o regolare serve di meno, le conseguenze sociali, razziali e di ordine pubblico sono facilmente immaginabili, soprattutto in zone povere come Calabria e sud Italia.
In Calabria, in particolare, il disaccoppiamento deciso a livello comunitario nel 2005, è entrato in vigore per le arance da poco e ora si sta sommando agli effetti della concorrenza agricola straniera arrembante, spesso in grado di offrire merci a prezzi incredibilmente bassi, quasi stracciati. Le arance della Piana di Gioia Tauro rimarranno a sciuparsi sui rami perché sono di una qualità particolare, selezionata non per la tavola, ma per la spremitura e la trasformazione, per effetto di una scelta in parte casuale degli agricoltori e in parte a suo tempo ritenuta oculata, effettuata con l’intento di sottrarre il prodotto alle oscillazioni del mercato delle arance fresche, sottoposte ai cambi repentini dei gusti e delle mode dei consumatori. Anni fa pochi potevano prevedere che l’Europa avrebbe scelto il disaccoppiamento e che l’industria locale di trasformazione sarebbe arrivata a ritenere non più convenienti le arance della Piana, perché costano troppo, nonostante l’utilizzo degli schiavi neri, ed è economicamente più vantaggioso far arrivare il succo via nave dal Brasile fino al porto di Gioia Tauro.
Le imprese calabresi che fino all’altr’anno ritiravano il prodotto, per poi ricollocarlo presso i grandi marchi per la lavorazione successiva fino all’aranciata o al succo in bottiglia o nel tetra pak, quest’anno offrono dai 5 ai 7 centesimi al chilo, pur sapendo che i costi sopportati dagli agricoltori sono da 2 a 3 volte maggiori anche con l’uso di manodopera irregolare per la raccolta. Tutto ciò non significa che dagli scaffali dei superrmercati o dai frigo dei bar nel 2010 scomparirà l’aranciata “made in Calabria”.
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il chiuR.Lo. ha detto...

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Sfruttando una legge che non impone l’obbligo di indicare l'origine del succo nelle bevande, le aziende italiane di trasformazione spacceranno più o meno legalmente come made in Italy e in alcuni casi addirittura calabrese doc, aranciate e succhi che di italiano hanno solo l’etichetta. I consumatori probabilmente neanche si accorgeranno del trucco, ma per gli agricoltori è un pugno in faccia e per gli schiavi neri è la condanna certa all’espulsione da parte di chi li ha sfruttati e brutalizzati senza scrupoli per anni e anni.
Le prime avvisaglie dello stravolgimento delle convenienze in atto nelle campagne si sono avute con la raccolta delle olive, subito dopo è toccato alle arance, ma prima o poi la campana suonerà anche per altre produzioni, sia quelle seminate, sia quelle agricole. Nella disattenzione quasi generale, è da questa estate che il mondo agricolo europeo è in fermento, con proteste e manifestazioni che interessano perfino i paesi ricchi da un punto di vista agricolo, dalla Germania alla Francia alla Spagna. Per quanto riguarda l’Italia il disaccoppiamento è solo un po’ rinviato per alcune produzioni tipiche come il pomodoro che, come spiegano gli esperti, fino alla prossima estate resta “accoppiato” (dicono proprio così) al pari delle pere Williams e delle pesche. Poi che succederà? Quando l’Unione europea approvò il disaccoppiamento certo non sapeva che le conseguenze avrebbero potuto essere così devastanti. Come spiega con franchezza Francesco Postorino, direttore del servizio economico Confagricoltura, l’Europa era ossessionata dalle spese crescenti per l’agricoltura e decise di darci un taglio abolendo gli aiuti concessi sulla base delle quantità di prodotti coltivati e sostituendo questo sistema variabile con un meccanismo a cifra fissa. Stabilì che i contributi sarebbero stati erogati indipendentemente dal prodotto coltivato, sulla base della media di aiuti ottenuti per ettaro da ciascun agricoltore nei tre anni precedenti. I legislatori pensavano di prendere più piccioni con una fava: risparmiare quattrini, stroncare gli abusi e nello stesso tempo non incentivare le produzioni in eccedenza (ricordate proprio lo scandalo delle arance distrutte con le ruspe?) favorendo in qualche modo anche le esportazioni dei paesi agricoli in via di sviluppo. Come spesso succede, la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Nessuno previde che l’inferno si sarebbe materializzato presto, con una guerra tra bianchi e neri e le barricate nelle strade di un paese in Calabria, sud Italia.