L’unico modo per toglierceli dalle palle, o almeno dalle librerie, sarebbe quello di mandarli all’Isola dei Famosi, non essendo possibile costringerli a scavare un canale da Genova a Venezia, come desiderava Federico Zeri pensando alla mediocrità di tanti autori e cosiddetti intellettuali italiani. Oltretutto non si è mai visto un vero scrittore, da Flaubert a Beckett, da Dostoevskij a Céline, scalpitare così tanto per ricevere la promozione del nulla. Gli scrittori scrivono le opere e vedono il mondo intorno molto più distante, sanno di essere eterni. Franz Kafka, schifato, desiderò addirittura che i suoi libri fossero bruciati, e pregò Max Brod, che per fargli un favore l’aveva citato in un articolo in mezzo agli autori di successo dell’epoca, di non nominarlo più.
La versione di Thomas
Thomas Bernhard era più spartano, per lui ricevere un premio letterario era «acconsentire di farsi cagare in testa». Invece qui, sempre i soliti di sempre, gli Hamp, gli Augé e i Ponsard di ogni tempo, non si danno pace, non lavorano alle opere, che non ci sono, ma lavorano per la carriera, che c’è se riesci a scalzare quella del vicino. Ciascuno brilla del nulla che riesce a sottrarre all’altro. Quindi, poiché è agosto e ci si diverte con poco, riepiloghiamo questa commedia umana di ordinaria ambizione ormai più da fratelli Vanzina che da Honoré de Balzac: Tiziano Scarpa il 2 luglio scorso ha vinto il Premio Strega (con il romanzo Stabat Mater, Einaudi), dopo un testa a testa con Antonio Scurati (autore di Il bambino che sognava la fine del mondo, Bompiani), autocandidatosi contro le “lobby editoriali”, benché appoggiato da Elisabetta Sgarbi direttrice della Bompiani, e subito sponsorizzatissimo da Giulio Lattanzi, direttore generale della Rcs Libri, sul Corriere della Sera, quotidiano underground della Rcs Libri. Ha perfino telefonato, Scurati, secondo una rivelazione di Elido Fazi, ai giurati amici della domenica, chiedendo a ciascuno «un voto utile». Utile a che? Alla propria carriera.
Invece per un punto Scurati perse la cappa, e Scarpa è un bambino felice, così felice da dichiarare a Libero il 4 luglio: «Scurati mi è piaciuto, per me è un pareggio (...) Mi ha commosso la scena in cui il protagonista piange e dice “Non avrò mai un figlio”. Quando uno scrittore ti fa provare queste emozioni significa che è bravo» e mentre lo dice deve ancora finire di scolarsi il liquore sponsor davanti agli occhi delle telecamere. Lo sconfitto intanto tace, livido, e piange interiormente non perché non avrà mai un figlio ma perché non avrà lo Strega: scrivendo per vendere, e reduce da un flop, senza Strega è perduto.
Come scrive Aldo Busi: «È ben triste scrivere per vendere, sacrificare tutto il resto, e poi non vendere». Dovrebbe essere tutto finito, Scarpa è in classifica, Scurati anche, vendicchiano entrambi, e invece a distanza di un mese che succede? Scarpa capisce. Cosa capisce, Scarpa? Lo spiega su Vanity Fair in edicola questa settimana: «Ho capito che lo Strega non è una questione di copie che vendi più. È una questione di potere». E, sforzandosi, capisce anche un’altra cosa. «Era come se il libro di Scurati avesse già la fascetta del vincitore. La casa editrice ci aveva investito molto: pubblicità, recensioni sui giornali».
Però prima del 2 luglio non se n’era accorto, e neppure dopo. Scurati, fino alla scorsa settimana, era bello, bravo, buono, un ex-equo, ora è «un vero caso mediatico: la costruzione di un intellettuale e di un autore pop attraverso una strategia propagandistica e pubblicitaria che va avanti da anni».
Parole sante, ma dov’era Scarpa in questi anni, e a cosa pensava il 2 luglio? Ieri il chiamato in causa Scurati, quello su cui la Bompiani ha investito centinaia di migliaia di euro, quello sponsorizzato sfacciatamente da Lattanzi e dal gruppo Rcs, risponde su Repubblica: «Scarpa ha vinto con l’appoggio del più potente gruppo editoriale e mediatico italiano», che sarebbe la Mondadori, chiamata da Scurati «Papi Mondadori». (Oh, chissà se lo dice anche all’amico Roberto Saviano, e chissà se a ogni ospitata a Mediaset Scurati dice «vado ospite da Papi Mediaset»).
Outsider e “protetti”
Scurati continua: «Io sono arrivato ovunque da outsider, ma una volta entrato nel sistema non ho finito di essere ancora un outsider» (sarà per questo che Elisabetta Sgarbi, appena messo piede in Bompiani, mi ordinò di non scrivere più una riga contro Scurati pena ritorsioni indicibili, e la minaccia di «farmi terra bruciata intorno», volendomi perfino far firmare un foglio al riguardo?), e in effetti si è autocandidato da outsider con tutta la Rcs intorno, per caso.
Riepilogando, Scarpa a Scurati, passato l’effetto del liquore: «È una questione di potere, ha vinto con l’appoggio della sua casa editrice e del sistema di potere che si è costruito». Scurati a Scarpa: «Ha vinto con il sostegno del più potente gruppo editoriale italiano». Chi ha ragione? Scurati. Perché? Perché una cosa sensata la afferma: «Tiziano Scarpa è un buffone di corte 2.0», proprio così, 2.0, riconoscendo nel rivale in carriera l’upgrading di se stesso.
DA R.LO.
Nessun commento:
Posta un commento